Fossimo laureate in pianificazione sociologico-politica delle commemorazioni, con specialistica cimiteriale, ci spiegheremmo il motivo del mancato tributo massomediatico del cinquantenario dalla dipartita di Ernesto de Martino, l’antropologo che ha cambiato, nel secolo scorso, lo studio della conoscenza dell’essere umano, un ceffo che osò teorizzare il concetto di ‘presenza’: persone dotate di senso in un contesto dotato di senso. Una sua allieva, Amalia Signorelli, pubblica con L’asino D’oro un testo, “Ernesto de Martino – Teoria antropologica e metodologia della ricerca”.
Che cosa intuì, de Martino, prima di tutti? Che la religione cattolica, applicata all’ignoranza, fonda la “mondanizzazione”, un dovere applicato alla famiglia non perché si vuole, perché si deve. L’oggetto economico è alla base. Successivamente de Martino si interrogò sulla ‘presenza’ in crisi: avviene quando un evento: sentimentale, di perdita, di lutto, sconvolge il soggetto. Sono sempre i meno acculturati, fomentati da precetti religiosi che rimandano a fiamme dell’inferno, che, per convenienza, si mettono nelle mani dello storico magistero della chiesa cattolica. Signorelli scrive:« istanza religiosa e politica quanto mai centralizzata e centralizzante».
Questa omologazione prevista da de Martino, è oggi ben evidente nel Family Day, nei gruppi di preghiere cattolici che pregano – contro chi – e proprio questo è il punto.
La visione laica di de Martino, cui arrivò dopo un tempo, breve, di commistione col fascismo, non vale ricordo massmediatico. E’ rivoluzionaria:«… tutta la storia delle religioni si fa idealmente prospettiva che agita i nostri cuori e le nostre menti: restituire all’essere umano, col pensiero e con l’azione, la storia che è sua». Idealmente, scrisse.
Chi la pratica, praticamente contravviene, applicandola.
Ernesto de Martino è stato il maggior antropologo italiano del XX secolo, del 1900.
E’ il fondamento dell’Antropologia moderna, ma a oggi alcun giornale lo ricorda. Come mai?
E’ nato a Napoli l’1 dicembre 1908; è morto a Roma il 6 maggio 1965. Il suo lascito intellettuale e scientifico attende di essere ulteriormente esplorato. Sua base della ricerca fu l’umanesimo etnologico, ossia la conoscenza dell’umano in Italia, specialmente nel Centro- Sud, rispetto alla religione cattolica: etnologico significa conoscenza della comunità.
La sua ricerca sul campo, tra comunità italiane sparse nel centro sud, negli anni Cinquanta, ha evidenziato la semplicità nei riti pagano-cattolici, la complessità interiore e la sottomissione alla religione cattolico- cristiana delle popolazioni a una vita infelice.
Evidenzia come nell’ignoranza – intesa come analfabetizzazione, addossata non solo allo Stato- soprattutto alle credenze religiose, a i riti pagano-religiosi che ancora oggi affibbiano l’Italia, sia il tumore alla conoscenza, rispettando tuttavia l’ ebete credenza.