L’articolo che segue è stato apparso su Repubblica Napoli circa un anno fa. Il Sudonline lo ripropone oggi, a un anno dalla scomparsa come ricordo dell’artista che a Napoli in queste ore viene celebrato dalla sua gente.
Scrivere di Pino, forse parlare a Pino, non si può evitare. Non si può evitare il discorso diretto, a base di TU, come con un amico, come a un congiunto che ci ha lasciato una mattina senza chiedere il permesso.
…Non piaceva vederlo scagliato nell’Olimpo della napoletanità. Quell’appartenere di diritto, honoris causa, a un Pantheon agiografico, stucchevole: un conclave molto kitch che lo voleva seduto al tavolo dei dodici apostoli della napoletaneria. Assieme a Maradona e Vittorio De Sica, Eduardo e Sofia. Assieme, va da sé, a Massimo Troisi, che è poi colui che, inconsapevolmente, lo ha trascinato lì.
Invece Pino non aveva che una parentela molto lontana con tutto ciò. Anzi, da tutto ciò si tenne accuratamente a distanza, come da una famiglia chiassosa e rintronante con la quale si intrattengono sentimenti che sono il combinato di simpatia e di fastidio, tenerezza e inquietata seccatura.
Questo ha fatto di lui un napoletano, ma nella maniera e misura dovuta. E più si allontanò da Napoli (anche fisicamente, andando a vivere a Formia, scelta che a molti è sembrata eccentrica…), più ha evitato di alimentare il “mito di sé”, il culto scomposto e un po’ ipocrita che avrebbe finito per soffocarlo sotto una campana di vetro. Di quelle che, dalle nostre parti, custodiscono santi e madonne.
La verità è che Napoli prende sempre alla gola. Talvolta toglie anche il respiro. Ragione per cui molti uomini di spettacolo (e anche di calcio) la evitano. Oppure, dovendoci vivere per forza anche se per un breve periodo, finiscono chiusi in una sorta di eremo senza porte né finestre…
Ecco dunque perchè le poche volte che Pino ha usato il microfono per parlare di Napoli, le pochissime volte che ha parlato della sua città e alla sua città, lo ha fatto in punta di piedi. Come un turista che sa di essere sul punto di partire, la sera o al massimo il giorno dopo. E che comincia ad apprezzare quello che lo ha assalito e gli ha tolto il fiato a ogni chilometro, a ogni ora di distanza che mette: quando la vitalità fragorosa e smodata di Napoli si affievolisce, cedendo il posto al ricordo e alla nostalgia.
Quel che conta è che Pino Daniele, napoletano per destino, è stato “napòlide” per scelta. Napòlide nella medesima, esatta accezione che Erri De Luca attribuisce a questo neologismo nel libro affidato ai tipi di Dante & Descartes. Napòlide, ossia uno che è nato a Napoli e che da Napoli si stacca, fin quasi a perdere cittadinanza. E che “… porta nel sistema nervoso – scrive De Luca – un apparecchio cerca persona messo dalla città in ognuno di noi”; un microchip installato sotto pelle all’atto della nascita. “Per uno che scrive di Napoli, lontano da lì – aggiunge -, fuori tema è la premessa. Napoli è il tema e io ne sono fuori…”.
E così da una distanza nient’affatto siderale, ma che somiglia più a un’orbita ellittica, Daniele andava come preso da una spinta centrifuga “fuori Napoli”. E tornava a un certo punto “verso Napoli”, come catturato nel movimento a ritroso da una forza gravitazionale. E questa è stata la sua fortuna e la nostra, di napoletani. L’alternanza di alta e bassa marea, l’andamento pendolare, ci ha dato versi e melodie che sono diventati patrimonio dell’umanità.
Spariti i giochi di prestigio con il dialetto, coi modi di dire e le allocuzioni patrie, chiuso il capitolo del lessico familiare che indugia sulle tazzulelle di caffè, per quanto mitigati da una vena sottile di ironia, la voce di Pino è diventata voce poetica di tutti. Fino all’acme raggiunto anni fa, che toccò con un componimento che, non a caso, mette Napoli alle spalle. In cui la lava è quella dell’Etna e il sale appartiene al mare più prossimo alle origini: alla Grecia. Una canzone meridiana nel senso pieno del termine. Sicily che sa di risacca e di vento di levante, struggente come il pianto delle donne ritmato dal battere di nocche. Un posto ci sarà, fatto di lava e sale, nel luogo in cui adesso si trova.