Giuseppe Buttà era nato a Naso, provincia di Messina, il 4 gennaio 1826. Egli stesso ci
confessa di aver attraversato da giovane una fase di ardore liberalesco, durante la quale si era
convinto che fosse necessario l’abbattimento della monarchia borbonica; ma dovette presto
cambiare idea, se è vero che tra gli anni ’40 e ’50 del XIX secolo lo troviamo prima ordinato
sacerdote e successivamente cappellano militare del Reale Esercito. Il suo primo incarico, non
privo di conseguenze, fu presso il bagno penale di S.Stefano, esperienza durante la quale potè
fare la conoscenza di tanti rivoluzionari liberali incarcerati; personalità come Luigi Settembrini, Silvio Spaventa e Carlo Poerio, che il canonico si vanta di aver spesso protetto e
difeso perché fosse alleviata la durezza della loro detenzione. Nel 1859 fu assegnato al 9° Battaglione Cacciatori stanziato nella sua Sicilia: e da qui ebbe origine l’esperienza che cambierà la sua vita. La particolarità del corpo d’armi cui apparteneva, e della posizione geografica in cui era operativo, fecero sì da fargli vivere da vicino l’intera esperienza della spedizione di Garibaldi. Buttà si trovava a Palermo durante la lotta strada per strada per la conquista della città; era alla battaglia di Milazzo con il suo amato colonnello Beneventano del Bosco; e così via retrocedendo al seguito dell’esercito borbonico in rotta, a Napoli, Capua, fino alla Gaeta assediata dai Piemontesi. Dopo la caduta della città decise di seguire la sua truppa, destinata a rimanere prigioniera fino alla completa resa dell’esercito meridionale. Ottenuta la libertà, fu però perseguitato dalla polizia italiana quale sospetto cospiratore reazionario; destino comune a molti reduci di Gaeta. E lo stesso Buttà ci racconta con risentimento di aver chiesto l’aiuto di Spaventa nel nome degli antichi favori resigli a S.Stefano, e come questi facesse finta di non riconoscerlo. Ricercato in patria, fuggì a Roma, dove si trovava Re Francesco in esilio. Durante il suo soggiorno romano, dietro le insistenze degli amici, mise mano alla penna. Ne scaturì un racconto torrentizio dell’unificazione italiana, impietoso verso tutto e tutti. Ecco la prefazione del libro “Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta, memorie della rivoluzione 1860-1861”(Marcello Donativi)
di GIUSEPPE BUTTA’
Essendomi trovato diverse fiate a ragionare de’ fatti maravigliosi di Garibaldi, compiti nel Regno delle Due Sicilie, ho notate moltissime inesattezze ne’ racconti militari, che s’odono ripetere da coloro che si credono saperli assai meglio degli altri. Ho letto storie, memorie, articoli di giornali, scritti da Garibaldini e da Borbonici; ed ho trovato sempre le stesse inesattezze e menzogne. I miei amici conoscendo che fui testimone oculare di quasi tutte le
vicende guerriere di que’ tempi di rivoluzione e di invasione straniera, mi han consigliato a scrivere ciò che vidi, osservai ed intesi da persone degne di fede, di quella disastrosa campagna, che durò dal 3 aprile 1860 al 13 febbraio 1861.
Io non iscrivo queste memorie per la vanità di parlar di me; sono un uomo oscuro, e tale desidero rimanermi. Solamente io voglio di buon animo acconsentire alle premure insistenti degli amici, perchè non paia scortese. Però, badi il lettore, il mio stile non sarà elegante, nè forbito, e di ciò lo prego di compatirmi: tenga conto solamente dei fatti che racconto.
Quali si siano i miei antecedenti ed i miei principii politici, in queste memorie m’ingegnerò di scrivere senza passioni, le quali dopo circa tre lustri si sono ammansite notabilmente, in me soprattutto.
Io non entrerò nella vita privata di quei personaggi ch’ebbero parte alle vicende guerresche e civili di que’ tempi, ma ragionerò schietto e franco sulla vita pubblica de’ medesimi. Chiamerò le cose e le persone col proprio nome, non risparmierò quelle qualità che meritino lode e biasimo. E se altri poco accorto si lagnerà, sarò pronto a giustificare pubblicamente quello che io dico ed affermo, ed aggiungendo pure quello che ora taccio per prudenza, non essendo necessario alla Storia. Io non perdonerò ad amici nè a nemici; nè vorrò contenermi anche di sacrificare la più cara amicizia, ch’io mi abbia, affinchè di quello, chiunque sia, ond’io tolgo a
ragionare, e i presenti e i posteri conoscano, non meno che le virtù, i vizi ed i difetti. Massimamente trattandosi della caduta di uno de’ più antichi troni dell’Europa, la quale produsse così notabile cangiamento nella vita de’ popoli.