Vent’anni dopo qual è l’eredità politica di Silvio Berlusconi? Incontriamo Silvio Berlusconi nel pomeriggio di ieri a Roma, alla sede del Foglio, il giorno prima del compleanno del nostro giornale, che oggi festeggia i suoi primi vent’anni (cin cin), e cogliamo l’occasione dei brindisi per il nostro ventennio per riavvolgere il nastro con l’ex presidente del Consiglio e provare a capire, a poco più di vent’anni dalla sua discesa in campo, cosa è cambiato nel nostro paese, cosa ha intenzione di fare il centrodestra del Muro e cosa avrebbe l’occasione di fare, in questa fase storica delicata, quello che a noi sembra (ma non a Berlusconi) un possibile erede del berlusconismo: il Royal Baby, Matteo Renzi. Cominciamo dall’inizio, cominciamo da lì. Presidente. Sono passati ventidue anni da quel 26 gennaio 1994 in cui lei ha annunciato la sua discesa in campo. Se dovesse fare oggi un altro video di nove minuti per spiegare cinque cose in cui è cambi ata l’Italia e cinque cose in cui non è cambiata rispetto a quel giorno che cosa direbbe?
«Una domanda troppo difficile. L’Italia del 1994, quando mi rivolsi agli italiani con quel messaggio, era un paese in profonda crisi, non solo economica ma anche politica, di fronte alla scomparsa – anzi all’eliminazione violenta – dei partiti democratici da parte della magistratura. Sull’onda del consenso, effimero ma diffuso, intorno all’operazione Mani pulite, la sinistra post comunista sembrava il potere a portata di mano. Oggi quella sinistra non esiste quasi più, e credo sia merito nostro. La maggioranza naturale degli italiani si è potuta riunire in un centrodestra di governo, parola questa che per tutta la Prima repubblica era stata impronunciabile. E questo è il secondo cambiamento. Il terzo è che gli italiani hanno scoperto il bipolarismo e l’alternanza di governo, sia pure imperfetta. Il quarto è che – almeno a parole – i valori liberali, allora sostenuti solo da una piccola minoranza, sono condivisi da tutti. E tutti oggi – così siamo arrivati a cinque – sostengono la necessità di fare quelle riforme delle quali allora parlavamo soltanto noi. Insomma, abbiamo ottenuto non poco, ma naturalmente c’è il rovescio della medaglia».