Fra il 1952 e il 1973 il prodotto per occupato, cioè la produttività del lavoro, crebbe in media del 5,2% l’anno nel Mezzogiorno rispetto al 4,5% del Centro-Nord.
Aumentarono fortemente gli investimenti complessivi… 7,9% rispetto al 6,3% del Centro-Nord.
Gli investimenti industriali crebbero nel Mezzogiorno a un ritmo doppio del Centro-Nord (+10,1 annuo, rispetto al 4,9).
In quegli anni l’occupazione nel Mezzogiorno aumentò dell’1,3% annuo, sostanzialmente
in linea con l’andamento del resto del Paese.
L’effetto combinato di questi andamenti economici fu un aumento notevole del reddito pro capite nel Mezzogiorno quasi triplicatosi: da poco meno di 4.400 euro nel 1951 a circa 12.000 euro venti anni dopo, mentre nel Centro Nord il reddito pro capite saliva da 6.300 a 17.600 euro.
La maggiore crescita del Mezzogiorno portò a un riavvicinamento notevole fra le due aree del paese in termini di reddito: nel 1951 il reddito pro capite nelle zone del Mezzogiorno era poco più della metà di quello del Nord (52,9%); venti anni dopo, esso era pari al 60,5%.
Nord e Sud crescevano insieme e il Sud tendeva a recuperare lo svantaggio che si
era andato accumulando nei decenni precedenti e specialmente durante gli anni del fascismo.
Insomma, il Mezzogiorno si era messo in marcia.
Poi, dal 1973 in avanti, questo cammino ha rallentato fino ad arrestarsi del tutto.
Hanno pesato fattori esterni… che hanno portato l’economia italiana nel suo complesso a rallentare.
Ma sul Mezzogiorno hanno pesato altre circostanze, interne al nostro Paese.
Il punto di svolta negativo nella vicenda economica del Mezzogiorno è stata la costituzione delle regioni, nel 1970.
Appena costituite, le regioni, che pure mancavano di esperienza delle politiche di sviluppo, chiesero insistentemente l’abolizione dell’intervento straordinario e il passaggio delle risorse che fino ad allora erano state incanalate attraverso la Cassa per il Mezzogiorno
alle regioni stesse.
… Lentamente, ma progressivamente il Mezzogiorno ha perso buona parte del terreno riconquistato fino al 1973, tanto che nel 2014 il reddito pro capite del Mezzogiorno è appena pari al 56,3% di quello del Centro-Nord.
…. Come si legge in un precedente studio della Svimez, risale a quegli anni la sottrazione «per effetto dell’invadenza dei partiti e delle correnti di autonomia e di responsabilità
agli enti dell’intervento straordinario che hanno finito per essere considerati sempre meno
strumenti tecnici politicamente neutrali».
La crisi dell’intervento straordinario e la crescita di peso delle regioni, generalmente guidate da classi dirigenti improvvisate, ha portato a una progressiva riduzione degli investimenti ed a una crescita delle spese correnti.
La lezione dell’intervento straordinario è tuttora attuale.
Bisogna ripartire da quella esperienza.
Serve una capacità di programmare una serie di investimenti infrastrutturali interconnessi
fra loro ed affidarne la realizzazione ad organismi liberi dal predominio ossessivo delle correnti partitiche (e dai fenomeni di corruzione che sembrano ormai consustanziali all’azione pubblica).
…. Serve la stessa passione civile che animò i governi degli anni della Ricostruzione….
Giorgio La Malfa, IL MATTINO,
lunedì 9 maggio 2016
(a cura di asco)
1 thought on “SCRIPTA MANENT / GIORGIO LA MALFA: La cassa del Mezzogiorno? Era meglio delle Regioni”
Comments are closed.