Stavolta Enzo De Luca l’ha detta veramente “grossa”. Passino le frasi con cui marchia a fuoco gli avversari politici, a volte di spada e altre di fioretto: va tutto in cavalleria, alla prima puntata utile di “Crozza nel Paese delle meraviglie”. Ma stavolta l’ha detta – l’ha fatta – assai. Sentite un po’…
Si era alle conclusioni della 14^ Giornata dell’economia organizzata alla Camera del commercio da Unioncamere, martedì 13 luglio. Il presidente della Regione ha detto numerose altre cose. Ha detto che la pacchia è finita, ma non per Napoli o per la Campania soltanto. E’ l’Italia che deve imparare a combattere, raggiungere obiettivi, avere una visione del futuro, puntando a una nuova collocazione nel mercato mondiale che intanto è diventato più stretto e competitivo. E’ l’Italia che deve capire che il tempo dei parassitismi è finito, perché da Maastricht in poi non c’è più scampo per un Paese come il nostro, che ha perduto la possibilità di aggiustarsi i conti con la svalutazione competitiva come nell’epoca della lira.
Ha detto che intanto dovremo pagare ancora a lungo le conseguenze di essere stato per troppo tempo una specie di Paese dei balocchi.
Ma ha detto anche che la Campania si è rimessa in moto. Crescono le nuove imprese. Cresce il numero delle start up, che contrassegnano una straordinaria effervescenza giovanile che tende alla innovazione. Cresce anche il numero delle imprese del settore agricolo, settore spesso sottaciuto perché considerato marginale, mentre invece l’agricoltura sta diventando trainante proprio nella innovazione tecnologica di processo e nella ricerca sulla qualità e la sicurezza alimentare.
Ha ricordato che se l’economia della nostra regione ha tenuto in anni di severa crisi è perché le 4 A (abbigliamento, agroalimentare, automotive, aerospazio) hanno una marcia in più nell’export.
Ha citato la Getra e la Prismian, imprese che sono simbolo di eccellenza per la capacità di stare sui mercati del mondo facendo innovazione tecnologica e ricerca assieme al sistema delle Università, altra imprescindibile risorsa del territorio.
Ha parlato di riconquista di reputazione della Campania che passa attraverso l’avvio dello smaltimento di 5 milioni e seicentomila tonnellate di ecoballe, equivalenti a 300 campi di calcio.
Di sburocratizzazione a tappeto. Di Sportello unico regionale, stavolta da aprire sul serio. Di una nuova stagione di opere cantierate entro la prossima primavera…
Di credito d’imposta e altre agevolazioni offerte a chi assume in Campania, inclusi 7000 euro a fondo perduto per ogni nuovo posto di lavoro. Di borse di studio (7 milioni di euro su quelle del centro di Apple). Di Consorzi Asi che devono diventare propulsori di trasformazione urbana.
E ancora: di trasporto gratuito per i giovani studenti, di edilizia sanitaria, di ricerca scientifica con priorità alla medicina biologica e alla lotta al cancro.
Ma la zampata De Luca l’ha data quando ha detto che sulla sanità il Sud subisce da anni una specie di furto con scasso. Anzi, una “stangata” vera e propria, perché su questa partita le classi dirigenti del Nord – di ogni latitudine e colore politico – si comportano come “magliari”. Perché hanno stabilito un criterio piuttosto balordo (ma tutto vantaggio del Nord) secondo il quale i territori che hanno più giovani hanno meno bisogno di medicine e di ospedali.
Ragion per cui la Campania, perde 200 miliardi di euro l’anno. Perché? E’ una posizione coraggiosa, perché non guarda in faccia a nessuno: “Quando si tratta di togliere soldi al Sud – ha dichiarato De Luca – le classi dirigenti del Nord si compattano a testuggine. Il rischio che corre è di moltiplicare il numero dei nemici dal Garigliano in su. Ma è foriera di consapevolezza, requisito basico per fare la cosa giusta e questo mondo.
Infatti il giorno seguente è stato possibile leggere – dalle colonne del giornale più importante del Sud, il Mattino – parole importanti per la costruzione di una identità condivisa che guardi agli interessi del territorio e dei suoi abitanti piuttosto che ai partiti:
“Se gli anni della seconda repubblica – scrive Massimo Adinolfi – sono stati dominati da una retorica nordista, leghista, separatista, e da un appello alle identità dei territori in chiave localistica ed egoistica, ciò non è dipeso da uno stallo istituzionale, ma dal collasso di quel sistema di partiti a cui era stata affidata per decenni una essenziale funzione di integrazione sociale e politica….
Ma i polli e i magliari non scompariranno dopo il Referendum: da quel giorno comincerà semmai una nuova partita… E’ bene, allora, che cominci ad esistere e a farsi sentire un nuovo meridionalismo in grado, questa volta, di giocare quella partita e, magari, di vincerla.