L’economia italiana e l’economia meridionale devono raggiungere un processo di convergenza ed integrazione, senza il quale sarebbe molto difficile proporre una politica economica nazionale all’Unione Europea ed i paesi dell’area euro. Ne è convinto Massimo Lo Cicero, economista, che alla Giornata dell’Economia organizzata da Union Camere ha proposto una analisi circa le future dinamiche potenziali ed i problemi della recessione nel ciclo economico italiano?
Professore, che cosa emerge dai dati che ha raccolto?
Ho presentato un rapporto in cui si rileva nettamente che, partire dalla prima crisi globale dei mercati finanziari internazionali, nel 2008/2009, la divaricazione dei comportamenti sociali ed economici tra Nord e Sud dell’Italia si è amplificata
Progressivamente.
Oggi, finalmente, si osservano timidi segnali di ripresa, non è così?
Forse per l’economia nazionale sì, ma si nota uno scarto tra la situazione del Mezzogiorno prima della crisi, che non ce la fa a tornare alle condizioni di pria della crisi dopo una ceduta recessiva davvero pesante. Mi sono soffermato in particolare sulle connessioni tra le parti dell’Italia, e le relazioni, individuabili nel lungo e medio periodo, del Mezzogiorno, della Campania e delle sue provincie rispetto all’economia italiana ed alla sua integrazione con quella europea.
La crisi, alle nostre spalle, ha messo in luce gravi debolezze nella struttura e nelle istituzioni di alcuni paesi partecipanti all’Unione economica, che hanno mostrato da allora un calo considerevole del reddito reale pro capite. Il Mezzogiorno ne pagherà i costi maggiori?
L’Unione ha registrato una convergenza reale, grazie al recupero del divario nei paesi dell’Europa centrale e orientale mentre, nei 12 paesi che avevano adottato l’euro, non c’ê stato un processo analogo. Come in una matrioska, l’Europa si divide tra i paesi con e senza euro, ma con un mercato comune ed una fiscalità bassa ed una flessibilità accentrata. L’Italia, invece, ha troppa spesa pubblica e troppe tasse, che la rincorrono, ed è molto rigida nelle sue strutture. Si divide tra un centro nord, che è meno gravato da istituzioni pubbliche ed un mercato dove famiglie, banche ed imprese trovano i loro spazi.
E il Mezzogiorno?
Nel Sud si è aperta una frattura longitudinale: a nord est ci sono la Puglia e la Basilicata, con una demografia più leggera ed una migliore capacità istituzionale; a sud ovest c’è un eccesso di popolazione (in Calabria e Campania ci sono 8 milioni di persone), una base economica efficace molto ridotta, larga disoccupazione e lavoro nero come effetto dello scarto tra popolazione e produzione. Ed anche una eccessiva, e spesso poco efficiente, presenza di organismi statali e locali.
Insomma gli effetti della crisi sono più evidenti nel Sud?
La crisi ha svelato, nei tre livelli descritti, la differenza che esiste tra comunità che si adoperano per investire e produrre capitali, che potranno generarne ulteriori tecnologie che aumentano la produttività totale dei fattori; un’attenzione per la conoscenza e lo sviluppo dei beni culturali e della stessa cultura come descrizione della nostra società e delle sue potenzialità: questo terzo obiettivo rappresenta la leva per i primi due. Gli strumenti, invece, sono le organizzazioni e le associazioni pubbliche e private che siano capaci di cooperare tra loro e non di colludere tra loro. La dimensione dei mercati può generare una economia di scala.
L’Unione Europea regge al suo interno anche la sua parte debole, l’Italia affanna nella ricerca di una medesima relazione tra il Nord ed il Sud del paese. Ma fino a quando?
L’Italia ed il Sud hanno un compito difficile da realizzare: perché sono divise ed il Sud stesso si presenta con due facce. La somma dei risultati positivi dell’Italia è notevole ma è altrettanto notevole la somma di chi collude con altri, malversa, utilizza rendite e monopoli odiosi, agisce con strumenti criminali e violenti. Bisogna ridimensionare questi fenomeni, inadeguati ad un paese civile, e bisogna farlo a Sud come a Nord.
Di che cosa ha bisogno il Sud innanzitutto?
Il Mezzogiorno, come i fragili paesi mediterranei, ha bisogna di uno slancio imprenditoriale. Finita la stagione degli incentivi, che hanno fiaccato la capacità imprenditoriale e favorito collusioni tra strutture pubbliche e presunti imprenditori, sono venuti a galla i Fondi Europei e sono stati anche affidati alle Regioni. Ma, in Piemonte, quei fondi sono collegati dalla Regione ad un sistema di banche che fanno leva per creare insieme infrastrutture efficienti. Altrettanto dovrebbero fare le Regioni meridionali: creando una relazione tra ponente e levante nel Mezzogiorno. Unendo un mercato di quasi venti milioni di abitanti.
Che cosa dovrebbe fare il Governo a suo parere?
Il Governo italiano ed il nostro paese dovrebbero essere capaci di allargare lo spazio di banche ed imprese, collegandole alle strutture pubbliche e non solo ai mercati: solo allora il Sud potrà dire di essere una risorsa per l’Italia, abbandonando piagnistei e supponenze inconsistenti.
Napoli e la Campania possono essere sia la zavorra che la leva per un rilancio del Mezzogiorno ma anche una convergenza tra il Nord ed il Sud del paese. Non le pare?
La Campania è una grande e popolosa regione del Mezzogiorno continentale e la metropoli napoletana, recentemente creata dal Governo nel perimetro della ex provincia di Napoli, è la terza città d’Italia, dopo Roma e Milano. Ma il Mezzogiorno continentale si presenta diviso tra levante e ponente…
La dorsale appenninica svolge ancore il suo ruolo divisivo?
Sì, c’è una dimensione adriatica, che si allunga da Lecce alle Marche e che siafferma in varie direzioni: l’industria, la cultura ed il turismo, la possibilità di collegarsi economicamente con i Balcani e con la loro crescita economica. Matera, ad esempio si propone come la città di cultura, e di turismo, per eccellenza e si allena per crescere fino alla scadenza del 2019. Melfi rilancia la sua vocazione per l’automobile mentre Grottaglie sviluppa tecnologie per l’avionica. Questo sistema di levante si sente forte, e scavalca, nelle intenzioni degli attori locali, la stessa Roma, puntando verso Milano ed il Nord dell’Europa.
E il Mezzogiorno di ponente?
Al contrario, è allo stremo delle proprie forze: sono rimaste chiuse, da troppo tempo, in una nicchia che le separa anche dal resto del Sud. Questa frattura tra levante e ponente impedisce un dialogo unitario tra il Mezzogiorno ed il Governo nazionale. E, di conseguenza, impedisce una politica di coesione nazionale che consenta all’Italia un dialogo ed una forte integrazione con l’Unione Europea.
Come possiamo recuperare un progetto comune tra queste due facce del Sud?
La Campania conta su 6 milioni di abitanti ma si appesantisce per la limitata base economica, la disoccupazione, il lavoro nero e la delinquenza. Nel suo perimetro regionale ospita una metropoli napoletana di oltre tre milioni di persone. Questa metropoli dovrebbe diventare il centro di gravità del Mezzogiorno continentale, riunificandone le parti, mentre la stessa Regione, come istituzione, dovrebbe rifondare se stessa e creare le fondamenta per una macroregione meridionale.
La Regione Campania, insomma, non può e non deve più essere un “supercomune” che si occupa di una miriade di situazioni e problemi localistici.
Nella Regione Campania ci sono tre grandi sfide da coltivare: Sanità e salute, Trasporti, Ambiente e regime di pianificazione ed urbanizzazione. La Regione deve creare norme e pianificare, con quelle norme, la trasformazione per la crescita. Molte norme del passato potrebbero anche essere cancellate mentre si dovrebbero realizzare collegamenti più efficaci con il resto del Sud: la ferrovia tra Napoli e Bari; i collegamenti tra Napoli e Reggio Calabria, via ferro e via autostrada. Grandi reti digitali globali, per collegare con il mondo 13 milioni di abitanti, le loro imprese e le loro famiglie.
La metropoli napoletana e la Regione dovrebbero, affiancandosi alle altre regioni del Sud, realizzare questa rete di infrastrutture?
Napoli dovrebbe essere il centro di gravità del sistema meridionale: la metropoli che si collega con le sponde del mediterraneo e con l’Europa al medesimo tempo. Legare in questo modo il Mezzogiorno alle scelte dell’Italia ê l’unica condizione per fare dell’Italia un protagonista significativo dell’Unione europea. Il Piano Junker avanza lentamente ma progressivamente e gli investimenti della Campania devono essere collegati a quel piano: una grande sfida per imprese e tecnologie che, alimentate dalla politica monetaria di Draghi, potranno creare progetti industriali e trasformazioni dei territori, allargare le opportunità di lavoro e di occupazione.
L’Italia ed il Sud, e di conseguenza anche la Campania, stanno uscendo da un clima che alimenta depressione e rifiuto della partecipazione. Non crede?
Sì ma bisogna puntare in alto e forzare il ceto politico, e la classe dirigente, perché cambino davvero registro. Meglio, con un paradosso, puntare al bersaglio grosso, e perdere, che rassegnarsi ad un decadimento definitivo: sarebbe solo l’ennesimo trionfo della sfiducia. Meglio ancora, ovviamente, riuscire a trovare l’intesa tra levante e ponente e collegarsi davvero dal Mediterraneo all’Europa. L’Italia sarebbe, in questo caso, davvero una porta ed un canale di transito tra due culture.
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