Le proteste sono legittime. Così come comprensibili sono i disagi e le preoccupazioni degli insegnati che scendono in piazza perchè “costretti” a fare le valigie e andare in un’altra regione pur di conquistare un contratto a tempo indeterminato. Uno scambio che sulla carta non dovrebbe suscitare polemiche. Ma che, nella realtà, può tradursi in un danno economico: meglio un lavoro precario ma più vicino alla famiglia che uno più sicuro ma lontano e magari in Regioni dove il costo della vita è più alto. Ma quello che sta succedendo sul fronte della scuola è solo la punta di un tema molto più complesso che sarebbe sbagliato sottovalutare.
Il pubblico impiego è sempre stato visto come il regno del posto fissso. Checco Zalone, con Quo Vado, ne ha dato una rappresentazione sarcastica e divertente. Spiegare agli insegnanti, ma anche ai dipendenti dei ministeri o delle società statali, che ora il posto fisso sta diventando (e diventerà) mobile è un’impresa ardua anche dal punto di vista lessicale.
Il pubblico impiego ha resistito ad ogni tipo di terremoto, ha digerito, volta per volta, tutte le rivoluzioni annunciate dal governo di turno e subito ridimensionate se non archiviate. E’ dal testo unico del 2001, ad esempio, che l’esecutivo ha cominciato a introdurre nei regolamenti la possibilità di “spostare” da un’amministrazione all’altra i dipendenti in esubero. Fino ad oggi non è mai successo nulla. Fra le resistenze dei sindacati e le titubanze della politica, che ha nei due milioni di dipendenti pubblici, uno dei principali bacini elettorali, gli statali hanno continuato a vivere nel mito del posto fisso, capace di resistere ad ogni tipo di crisi, anche alla recessione più lunga e più grave dal dopoguerra. E, forse, anche l’esclusione dei contratti pubblici dalle nuove norme sui licenziamenti che hanno abolito le tutele dell’articolo 18, deve aver consolidato ulteriormente questa impressione.
Ora, però, siamo arrivati ad un punto di non ritorno. La spendig review non è solo un opzione ma sta diventando sempre più un obbligo. La macchina dello Stato costa troppo, pesa sulle tasche dei contribuenti e, come se non bastasse, è poco produttiva. Per questo la flessibilità e la mobilità del pubblico impiego non può essere lasciata alle piazze. E’ un processo che va invece governato e regolato. Spostare risorse in esubero in posti di lavoro dove, invece, possono diventare più produttive è un’operazione che va nella giusta direzione. Nel prossimo Consiglio dei Ministri dovrebbe essere approvato il terzo pacchetto di decreti della riforma Madia. All’interno, oltre alla mobilità obbligatoria entro i 50 chilometri, anche la possibilità di licenziare il lavoratori pubblici in esubero nelle società partecipate che rifiutano il ricollocamento. La strada, insomma, è tracciata. Ma le proteste di questi giorni fanno chiaramente capire che non sarà né facile né breve.