“Abbiamo indicato al governo la strada da seguire per imprimere una accelerazione al Masterplan per il Sud”. Parla Vito Grassi, imprenditore napoletano del settore energetico con due aziende all’attivo (Graded e Grastim). Nelle parole del Vice Presidente dell’Unione Industriali di Napoli (con delega alle Infrastrutture, Energia, Ambiente e Territorio) e candidato dell’Associazione imprenditoriale alla Presidenza della Camera di commercio partenopea, echeggia l’orgoglio di appartenere a una associazione imprenditoriale che il 28 febbraio festeggia i “suoi primi” 100 anni di attività.
Ingengere, l’operato del governo per il Sud passato al setaccio di Confindustria e dei sindacati: è una cosa che probabilmente con Renzi presidente del Consiglio difficilmente si sarebbe potuta vedere, non è così?
Non credo. A me sembra che Renzi abbia sempre messo in testa alla propria agenda il Mezzogiorno e Napoli in particolare con l’impulso alla definizione dell’area ex-Italsider di Bagnoli in primis. Le nostre analisi sono sempre poste in campo con animo costruttivo e di collaborazione, come avviene adesso che c’è un ministro per il Mezzogiorno, Claudio De Vincenti, e con lui l’interlocuzione è ottima.
Beh, nell’analisi dei Patti regionali attuativi del Masterplan non sono mancate numerose critiche da parte vostra. Che cosa rimproverate al governo in primo luogo?
L’impostazione che ha privilegiato il raccordo bilaterale tra i livelli di governo centrale e territoriale. Una scelta che ha messo in secondo piano l’esigenza di una visione di sviluppo sovra-regionale, ossia una strategia che guardi al Mezzogiorno nel suo complesso. Questo accentua il rischio di frammentazione degli interventi.
Per venti anni il divario del Sud è passato a problema locale, secondario rispetto all’esigenza di far ripartire la locomotiva del Nord. Ora invece il Mezzogiorno è rientrato a pieno titolo nell’agenza governativa. Di che cosa vi lamentate?
Non ci lamentiamo. Lungi da noi questo vizio, che da tempo è stato sostituito con una piena consapevolezza del mercato, dell’innovazione e della competitività da parte delle imprese meridionali. Confindustria intende offrire contributi, progettualità e partecipazione al capitale di rischio , a sostegno di tutte le possibili soluzioni ai problemi.
Per esempio?
Ad esempio il fatto che nei Patti regionali appare particolarmente ridotta l’attenzione per il sostegno alla ricerca e all’innovazione. Questo mi sembra un rilievo particolarmente opportuno, nel momento che il governo, sotto la guida del ministro Carlo Calenda, persegue attivamente gli obiettivi del Piano Industria 4.0. E sembra esigua anche la dotazione di risorse rivolte alla valorizzazione dei beni e delle attività culturali, patrimonio di assoluto valore internazionale, alla legalità e, più in generale, a tutte le priorità di natura sociale.
Oltre 35 miliardi di euro sono appostati su 3 principali macro-voci: Infrastrutture (10,7 miliardi), Ambiente (10,7 miliardi) e Sviluppo economico e produttivo (7,4 miliardi). Non bastano?
Non è questo il punto. Esse da sole assorbono l’82% delle risorse dei Patti. Una preminenza che rischia di cogliere solo parzialmente le esigenze di sviluppo produttivo e di mobilità nei territori
Può entrare più nel merito?
Osserviamo una forte concentrazione di interventi e risorse in campo ambientale, la priorità assegnata alle infrastrutture stradali, che da sole assorbono oltre metà delle risorse, mentre una minore attenzione viene assegnata ad investimenti nelle infrastrutture ferroviarie e ad altre infrastrutture come quelle portuali , aeroportuali e digitali. Inoltre sembra evidente una distribuzione non equilibrata tra interventi di infrastrutturazione fisica e le misure a sostegno degli investimenti imprenditoriali.
Uno dei gangli decisivi per la ripresa nel Mezzogiorno è nelle mani della pubblica amministrazione. Anche su questo avete dato indicazioni al governo?
Sì, stigmatizzando l’assenza di misure legate proprio al rafforzamento della capacità amministrativa della PA, che è condizione determinante ai fini dell’effettiva capacità di attuazione dei Piani, di una spesa efficiente delle risorse, di una programmazione ed informatizzazione indispensabili a rendere sempre più competitivo il nostro territorio. Parimenti risultano carenti nei patti attuativi interventi rivolti a migliorare la legalità nei territori, precondizione essenziale per favorire processi di crescita culturale ed economica
Avete evidenziato anche il tema cruciale dell’accesso al credito e del rafforzamento patrimoniale e finanziario delle imprese. Appare anch’esso un aspetto trascurato?
E’ un tema che rappresenta una condizione essenziale per la solidità della struttura economica del Sud. Più in generale, come già detto, manca il sostegno ad una serie di interventi prioritari per favorire dinamiche di sviluppo del tessuto produttivo del Mezzogiorno. In particolare, non sembrano aver ricevuto il necessario sostegno misure in favore della ricerca, della specializzazione delle risorse umane e dell’innovazione di prodotto e di processo aziendale.
In poche parole, qual è la vostra ricetta per portare a termine proficuamente il piano?
Siamo in piena sintonia con il tavolo permanente proposto dal Presidente Boccia tra autorità politica, Confindustria e tutte le principali organizzazioni sindacali Cgil-Cis-Uil, a livello nazionale e regionale, con l’obiettivo di accompagnare l’attuazione di ciascun Patto. Potrebbe essere un metodo per riuscire a rimodulare interventi programmati e allocazioni finanziarie verso obiettivi che risultano poco valorizzati o non sufficientemente implementati. Per noi è vitale il sostegno alla reindustrializazione e alla riconversione di aree e settori colpiti dalla crisi. Non possiamo guardare passivamente al declino delle nostre radici industriali e non possiamo assistere inermi alla maggiore percentuale di disoccupazione giovanile mai raggiunta. Questo ci sembra il problema dei problemi, e senza lavorare sulle precondizioni che favoriscano gli investimenti, non si arriva da nessuna parte.
E come intendete raggiungere questo risultato?
Favorendo rigenerazione e recupero delle aree dismesse, favorendo misure per l’innovazione tecnologica e la diffusione della rivoluzione informatica per l’attrazione di nuovi investimenti. E’ evidente che su questa posta non bastano poco più di 400 milioni nei Patti di Campania, Puglia, Molise, Sicilia e Sardegna per dare un colpo di reni alla riqualificazione delle sole aree di crisi.