L’ultima relazione della Fondazione Caponnetto resa pubblica nei giorni scorsi ci ha dato una scossa insieme di spavento e di invidia. Ce ne ha informati Il quotidiano del Sud diretto da Roberto Napoletano, che ha dato voce al presidente della “Caponnetto”, Salvatore Calleri, persona serissima e aliena da narcisismi. La formula dell’annuncio è immaginifica, è il prezzo che si paga per avere un servizio al Tg1: «Siamo di fronte a un’Italia divorata dalla mafia». Fin qui amen, ha riecheggiato vecchi allarmi. Poi ecco il colpo di cannone: il tesoro delle organizzazioni criminale italiane è di € 3.000.000.000.000, tremila miliardi di euro. Un numero immane. È il doppio del pil annuale dell’Italia. Supera di quattrocento miliardi di euro il debito sovrano, quello che pesa sulle spalle del nostro popolo presente e
futuro e che stiamo ingrossando allegramente con il Recovery Fund, qua-
si fosse una montagna di panna montata.
Tremila miliardi. La cifra non ha trovato alcuna smentita. Non è un bilancio certificato da Pwc o Ernst&Young. Ovvio, sono calcoli induttivi. Ci eravamo dimenticati che già nel 1993 si era stimato il profitto annuo della mafia (allora dominava Cosanostra) in 80milamiliardi di lire, e l’internalizzazione era ancora primitiva. In sostanza: la mafia risparmia, l’Italia spende e fa debiti. La criminalità accumula e mette a reddito beni immobili e mobili, depositati e investiti nel nostro Paese ma seminati e fruttuosi nell’intero orbe.