Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.
Cosa ne pensa del progetto di riforma della giustizia civile accennato da Draghi tra le priorità del suo Governo?
Ottima l’intenzione, occorrerà vedere se alle parole seguiranno i fatti. Riformare la giustizia – penale e civile – è essenziale per l’economia dell’Italia. Fino ad oggi la classe politica non ha mai realmente voluto attuare una simile riforma. Staremo a vedere cosa accadrà con Draghi e il suo Governo. Resto scettico.
Perché secondo lei è così importante riformare la giustizia?
Il buon funzionamento dell’amministrazione della giustizia è garanzia di uguaglianza tra i cittadini di fronte alla legge ed elemento funzionale di ogni democrazia. Si tratta anche di una questione di opportunità con ripercussioni economiche. Cerco di spiegarlo con un esempio. Se un processo, civile o penale, in Italia dura il doppio del tempo rispetto ad altri Stati membri dell’Unione europea, un potenziale investitore dove è più facile che investa il suo denaro? I ritardi dei nostri processi, oltre deludere le legittime attese di chi si rivolge al giudice, costano al nostro Paese quasi due punti di prodotto interno lordo. È ovvio che una simile anomalia, allontani gli investimenti e rallenti la nostra attività economica e produttiva.
Perché i processi in Italia sono così lenti?
Le potrei rispondere perché fanno comodo a tanti tranne che alle vittime, tuttavia, non è esattamente così. Nel settore civile il problema risiede nell’estrema litigiosità e nell’assenza di filtri pre-processuali. Nel settore penale il problema è la fiumana di reati e l’obbligatorietà dell’azione penale. A ciò aggiungiamoci la carenza di personale amministrativo e la non funzionalità dei sistemi telematici e il mix letale è completo.
Quali sono le responsabilità della politica, dell’avvocatura e della magistratura?
Direi che nessuno può chiamarsi fuori. La politica ritengo abbia le responsabilità maggiori perché le riforme partono da chi legifera. L’avvocatura ha le sue responsabilità quando tira il processo per le lunghe. La magistratura, pur lavorando tanto, purtroppo, è mal organizzata.
Lei partecipò alla Commissione per la riforma del codice penale Vassalli. Ci racconta cosa accadeva?
Era il 1988 ed io vi partecipai solo come spettatore in qualche riunione grazie al legame di amicizia con il mio maestro Giuliano Vassalli che era allora Ministro di Grazia e Giustizia. Era una commissione di docenti universitari, presieduta da Antonio Pagliaro, c’erano Franco Bricola, Angelo Raffaele Latagliata, Ferrando Mantovani, Mario Romano e Tullio Padovani, cioè il gotha del diritto penale italiano. Prepararono un disegno di legge delega di riforma del codice penale a mio parere eccellente. Solo sentirli discutere ti dava il senso della loro grandezza e della loro competenza. Non se ne è fatto nulla, il progetto è rimasto nel cassetto come tutti gli altri che seguirono negli anni. Questo perché la politica non vuol cambiare lo status quo.
Tra i problemi della giustizia si può comprendere anche l’attuale crisi della magistratura e del correntismo?
La spartizione correntizia è un male ma non è detto che incida sempre sui malesseri della giustizia. Ciò accade se in base al correntismo si scelgano persone impreparate o poco intelligenti. Quando il Csm sceglie persone valide, sempre con una lottizzazione spartitoria, il danno è certamente minore. Voglio dire che con il sistema della spartizione sono stati scelti anche ottimi dirigenti.
Che cosa direbbe ai suoi figli se volessero intraprendere una professione nel mondo giudiziario?
Che la laurea in Giurisprudenza è entusiasmante, perché ti consente di comprendere la natura umana, nel bene e nel male. Consiglierei a mia figlia di studiare molto e di prepararsi agli esami con minuzia e dedizione massima. E una volta conseguita l’eventuale laurea di scegliere il percorso professionale coinvolgendo anche il cuore .
Che cosa ha spinto lei alla laurea in Giurisprudenza?
Una serie di motivazioni mi affascinarono ben trentatré anni fa quando m’iscrissi alla Facoltà di Giurisprudenza in quel di Teramo. M’incuriosì molto la filosofia del diritto, la morale e le interconnessioni di quest’ultima con il diritto. L’idea che l’uomo e la legge siano complementari. Mi colpì molto il pensiero di Girolamo Savonarola quando giustamente sosteneva che non vi fosse animale più cattivo dell’uomo senza legge. Poi mi appassionai al diritto penale e in particolare allo studio delle mafie. Quest’ultimo impegno mi ha consentito di conoscere grandi personalità della lotta alle mafie e talmente forte era la passione e il coinvolgimento che dura ancora oggi.