I numeri sono numeri e la matematica non è un’opinione. Diciotto ministri del Nord, vale a dire due terzi della compagine di governo. Nella squadra di Draghi, al netto dei sotto segretari, solo sei sono i responsabili di Dicastero provenienti da Firenze in giù. E non basta: soltanto due vengono dalla Campania, ossia la salernitana Mara Carfagna (Mezzogiorno e Coesione territoriale) e Luigi Di Maio (Esteri), nato a Pomigliano d’Arco. Ce n’era abbastanza perché il 6 febbraio scorso il Mattino pubblicasse, con evidenza nella prima pagina, il suo articolo intitolato “Governo, la questione Sud”. Per poi tornare sull’argomento quasi un mese dopo, declinando il decalogo delle partite aperte, urgenti e da risolvere, sul tavolo del neo premier Mario Draghi. I pezzi li firma, sul quotidiano fondato da Matilde Sera, Nando Santonastaso, 61 anni, laurea in Scienze politiche alla Federico II di Napoli, giornalista professionista dal 1983. Oggi è editorialista del Mattino di Napoli, giornale in cui ha svolto tutta la sua carriera, fino a dirigere, da viceredattore capo, la redazione economica. Premio Sele d’oro del 2016, Premio Ischia di giornalismo 2017 e Premio Dorso nel 2018, ha dedicato per anni particolare attenzione ai temi dello sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno attraverso inchieste, dibattiti, focus ed editoriali, ripresi più volte anche dai media e dai social nazionali.
Dottor Santonastaso, c’è chi sostiene che fare la conta dei ministri del Sud è una operazione inutile, se non fuorviante, perché il tasso di meridionalismo di un governo non si misura con il certificato di nascita dei suoi componenti. Lei come commenta?
Penso che l’aspetto più paradossale di questa situazione è che si è passati quasi da un eccesso all’altro. Nel senso che avevamo un governo, quello del cosiddetto Conte bis, che era caratterizzato da una robustissima presenza di ministri meridionali, quasi un record assoluto. E lo dico senza dimenticare che anche in passato in posizioni chiave del governo ci sono stati anche molti ministri nati nel Mezzogiorno.
Nel governo Draghi, invece?
Be’ questa dimensione non solo si è invertita nell’aspetto più generale, ma si è in qualche modo aggravata, dal momento che in una sola regione che ci possano essere tanti ministri e tanti sottosegretari dà il senso di una scelta, non di una congiuntura particolare, Di un incastro magari anche non voluto.
Un vero e proprio segnale di inversione di marcia?
Evidentemente è un segnale e può essere letto in tanti modi. Naturalmente non è sempre vero che basta avere una provenienza di ministri da una sola area geografica per dare per scontato che il governo farà gli interessi soprattutto di quell’area. Però non si può negare che con il governo Conte la centralità del Mezzogiorno era finalmente risalita agli onori della ribalta.
Dove emerge questo cambio di passo sul fronte Sud?
Intanto è stato elaborato dall’ex ministro Provenzano persino un Piano Sud 2030 che addirittura, per la prima volta, indicava una prospettiva temporale molto simile a quella che immagino vorrà dare il governo Draghi al suo operato. E si era accennato in maniera molto forte alla possibilità, proprio in virtù delle scelte europee, che finalmente il Mezzogiorno potesse disporre di quelle risorse necessarie a ridurre il gap che da troppi anni lo separa non solo dal Nord ma soprattutto, dall’Europa.
E teme che questi obiettivi saranno disattesi o abbandonati dal nuovo esecutivo?
Non abbiamo ancora la certezza di ciò che è negli obiettivi del governo Draghi. Possiamo leggere dalle sue parole un interesse specifico per alcune componenti particolari della problematica meridionale, a cominciare dal lavoro delle donne.
Se si riferisce al suo discorso programmatico al Senato, il Mezzogiorno è una parola che torna solo tre volte su un testo di numerose pagine. Nessun riferimento alle infrastrutture, materiali e immateriali, di cui il Sud ha bisogno…
C’è anche l’ennesimo richiamo alle precondizioni di sicurezza e legalità che per un aspetto sono molto simili a quelle che aveva indicato anche il presidente Bonomi nel primo discorso dopo la sua elezione a leader di Confindustria.
Non teme che il cambio di guardia al timone del Paese sia stato originato dal fatto che fosse arrivato il momento di decidere come spendere 209 miliardi di euro, quelli che il Recovery Plan assegna all’Italia? Peraltro un risultato da ascrivere proprio al meridionalissimo avvocato Giuseppe Conte…
Non possiamo dirlo, di più ancora non sappiamo ancora. Anche se guardando il bicchiere mezzo pieno si potrebbe dire che tutte le tematiche toccate dalle prime dichiarazioni e dai primi interventi ufficiali del neo premier in qualche modo coinvolgeranno anche il Mezzogiorno.
E quali?
Dalla coesione sociale all’importanza della competenza, e quindi dalla formazione per i giovani agli investimenti e ai riferimenti all’alta velocità che, come ormai sappiamo tutti, finisce a Napoli o al massimo a Salerno e più giù non va.
Insomma, bisogna aspettare i progetti?
Bisogna capire soprattutto, e questo credo che sia un dato importante, chi definirà questi progetti. La sensazione è che la cabina di regia, con la quale Draghi intenderà gestire la delicatissima fase della preparazione di progetti per la spesa dei fondi del Next Generation EU, sarà riservata ai soli ministri tecnici quindi coloro che lui ha chiamato come consulenti e esperti, (naturalmente anch’essi del nord. E lì, secondo me, si potrà capire molto.
Non crede che l’Europa pretenderà interventi capaci di modificare l’anomalia italiana, ossia l’avere in uno stesso territorio l’area più avanzata e l’area più in ritardo di sviluppo del mondo occidentale?
Noi possiamo anche immaginare di considerare l’Italia “una” e quindi con progetti che debbono avere lo stesso impatto sia al Nord che al Sud. La sensazione di base però rimane sempre quella di partenza, cioè che se da una parte c’è un grave ritardo da colmare, non riuscirà a farlo se vengono assegnati gli stessi soldi o le stesse risorse o persino la stessa attenzione ai ricchi come ai poveri, per così dire. Mi conforta però pensare che in questo momento, per l’Italia e anche per l’Europa, sia strategico che il Mezzogiorno recuperi terreno in fretta, anche perché questa sembra davvero l’ultima occasione possibile.