di Claudio Panarella
Dichiararsi vittime di Mobbing e, quindi, agire contro il datore di lavoro è una pratica sempre articolata che va costruita bene da un punto di vista legale. Spesso, invece, la denuncia di mobbing è abusata da parte di giovani Avvocati, i quali pur non avendo una formazione specifica lanciano denuncie prive di basi e di prove precise, per cui alla fine ne pagano anche le spese. Orbene, di Mobbing si può parlare quando si vivono vere e proprie esperienze lavorative in cui l’impiegato diventa una vittima di molestie che compromettono la sua salute.
Vanno attentamente valutati tutti gli aspetti dei comportamenti che il soggetto definisce persecutori esercitati sistematicamente sul posto di lavoro non solo dal datore ma anche dai superiori, o, talvolta, dai colleghi pari grado, che hanno il fine di escludere/danneggiare il lavoratore per indurlo a licenziarsi o creargli delle turbe tali da non farlo più voler tornare serenamente a lavoro.
Il mobbing non è previsto come reato vero e proprio, ma rientra nelle fattispecie che possono avere una rilevanza penale qualora riconducibili al reato di maltrattamento.
Ma vediamo quali sono gli elementi chiave per avviare una procedura di contrasto al Mobbing:
I comportamenti persecutori o vessatori regolari e ripetuti nel tempo con discreta frequenza da parte di altri soggetti sul luogo di lavoro ed ad esso riconducibili (datore di lavoro, superiori, colleghi…), devono provocare un evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente certificati da uno psicologo ovvero da uno psichiatra, o medico del lavoro, o ancora medico legale, che siano in grado di dimostrare il nesso di causalità tra le situazioni raccontate dal soggetto leso ed il pregiudizio subito dal medesimo, il quale ritiene di essere pregiudicato nella propria integrità psico-fisica o nella propria dignità.
Il presupposto di cui al punto che precede rappresenta un passaggio molto importante proprio per evitare che davanti all’Avvocato si presenti un caso di “persona affetta da sindromi di persecuzione”.
Ai primi segnali il lavoratore deve comunicare l’accaduto per iscritto al datore di lavoro (e se contro il datore, alle rappresentanze sindacali o se non le ritiene autonome ed indipendenti diffidando direttamente il datore di lavoro a mezzo del proprio Legale). Il Datore di lavoro ha l’obbligo di usare tutte le misure e le accortezze necessarie per garantire l’integrità fisica e psichica del dipendente e di conseguenza se non reprime tale comportamento malversante è corresponsabile per la violazione delle tutele dovute in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Va, poi, studiato ed individuato il caso specifico di pressione che si subisce, ovvero se riconducibile alla situazione di potere con forzature illegittime e smisurate del proprio ruolo; ed ancora se l’attività di pressione è esercitata da un superiore al fine di obbligare alle dimissioni un subalterno, oppure se si tratti di colleghi per questioni interne di carriera o per motivi etnici, religiosi, sessuali, etc …
In caso di accertata gravità degli episodi raccontati, in ipotesi estreme, si può ricorrere anche alle Forze dell’Ordine (i Carabinieri hanno nuclei appositi) per avviare delle indagini sul luogo di lavoro, ma nella maggior parte dei casi basta avviare azioni a mezzo di uno Studio Legale preparato e di provata esperienza.
Spesso si incorre, però, in fattispecie dove i lavoratori “vittime” vengono solo a sfogarsi, ma, poi, non vogliono denunciare l’abuso per paura di perdere il posto di lavoro o di peggiorare ulteriormente la situazione, purtroppo, questo atteggiamento – sebbene umanamente comprensibile – non solo non porta ad una risoluzione del problema( certo dipende dal problema e dalla sua gravità , ma non assicura affatto il mantenimento del posto di lavoro. Qualora si riesca a documentare e provare gli abusi che si subiscono, quindi, l’esistenza e l’entità del danno patito il dipendente ha diritto ad un risarcimento per mobbing.