Certo non si può dire che i miei interventi non siano una scommessa con chi poi deve leggerli e non solo per la “lunghezza”.
Ho appena finito di leggere, “Ho scommesso sulla libertà. Autobiografia”, un libro intero sulla vita del cardinale Angelo Scola, conversazioni con Luigi Geninazzi.
Il libro si struttura come un lungo dialogo con Luigi Geninazzi, storico, giornalista, inviato di Avvenire, in 20 densi capitoli, con domande e risposte. E’ un racconto appassionato della vita religiosa dalla formazione nel lecchese all’incontro con don Giussani, fino alla missione pastorale nelle città di Grosseto, Venezia e poi Milano, ma anche degli altri importanti incarichi nella Chiesa che ha svolto Angelo Scola.
Il racconto del cardinale è lucido e consapevole, la sua religiosità nata da una fede popolare, risponde alle domande di Geninazzi, con piena libertà, raccontando la sua adolescenza subito dopo la seconda guerra mondiale. Originario di Melgrate, vicino a Lecco. La povertà della sua famiglia non ha mai ostacolato la fede, eppure il papà era un socialista che faceva il camionista, ma che ci teneva che il figlio studiasse per diventare un ingegnere. Il testo racconta poi come ha maturato la vocazione sacerdotale nel corso della sua militanza in Gioventù Studentesca, peraltro definito, un vero percorso ad ostacoli.
Scola dà grande importanza all’incontro, come categoria fondamentale del fatto cristiano. E’ sempre un incontro che cambia la vita, è capitato al giovane Angelo Scola, nell’ascoltare una lezione di don Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione. “L’importante nella vita è aver visto una volta qualcuno di decisivo”. E cita l’enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI “il cristianesimo non sia innanzitutto una dottrina o un’etica ma l’incontro personale con Cristo all’interno della comunità che è la Chiesa”. Addirittura per Scola occultare questo dato fondamentale dell’incontro, ha dato origine al “crollo pedagogico che la Chiesa cattolica ha avuto in Europa e che nemmeno il Concilio Vaticano II è riuscito ad arrestare”. Pertanto, “il dinamismo dell’incontro è fondamentale all’interno della logica cristiana”. Ecco perchè è necessario coltivare all’interno delle nostre comunità un “cristianesimo come avvenimento”, come auspica lo stesso papa Francesco.
Al 3 capitolo, il cardinale emerito, racconta il suo impegno in Comunione e Liberazione, che una volta nominato vescovo, si dissocia da questo impegno. Il testo di Scola affronta diversi fatti significativi che attraversano la società italiana e quindi la Chiesa stessa. Il rapporto a volte burrascoso tra i movimenti e l’Azione Cattolica. Il referendum sul divorzio e il poco impegno della Democrazia cristiana. A questo proposito nel testo il cardinale emette qualche giudizio sulla DC. La sua crisi è iniziata negli anni settanta, quando ha abbandonato il principio di gratuità, ma soprattutto quando ha abbandonato la cultura. Come notò il filosofo Augusto Del Noce, “una delle intelligenze più lucide ma anche più inascoltate nel mondo cattolico, la DC iniziò a crollare quando non si tennero più i convegni di san Pellegrino, cioè quando si considerò una perdita di tempo la riflessione culturale”. Nel 5 e 6 capitolo Scola dà spazio ai suoi grandi maestri, a cominciare dal “genio educativo”, don Luigi Giussani.
Si era creata “una situazione che vedeva i cristiani autoeliminarsi educatamente dalla vita pubblica,dalla cultura, dalle realtà popolari, fra gli incoraggianti applausi e il cordiale consenso delle forze politiche e culturali che miravano a sostituirli sulla scena del nostro Paese”. In questa situazione emerge la genialità e la preveggenza dell’intuizione di don Giussani, rimasto sempre fedele all’autorità del papa, a differenza dei preti del dissenso che contestavano il principio di autorità. A questo proposito Scola afferma che “CL è stato ed è un fenomeno autenticamente cattolico, mentre tante altre realtà che pure si richiamano alla Chiesa avevano sposato il concetto moderno di spirito critico, vale a dire la rivendicazione orgogliosa della propria autonomia”.
Gli altri grandi maestri che è venuto a contatto sono Balthasar, Ratzinger e De Lubac. Il cardinale emerito qui racconta alcuni aneddoti che riguardano questi grandi uomini religiosi e grandi pensatori: “Mi sentivo come un allievo che in un sol colpo si trova di fronte a grandi maestri del pensiero cristiano”.
Il 7 capitolo tratta l’esperienza della sua malattia, il suo appoggiarsi allo psicanalista, nonostante c’era il pregiudizio che ci fosse una netta opposizione tra psicanalisi e fede cristiana.
L’8 capitolo affronta la collaborazione con san Giovanni Paolo II, il Papa della libertà. Ci tiene a precisare che l’aveva conosciuto a Cracovia prima di diventare papa.
Scola sottolinea alcuni aspetti fondamentali del papa polacco, come il cambio di prospettiva nell’affrontare la questione antropologica, come si evidenzia nelle catechesi del mercoledì, dedicate alla teologia del corpo e più in generale al tema della sessualità. “Fu una sorpresa per molti il fatto che un Papa affrontasse questa problematica in una maniera così diretta e senza falsi pudori […]”. Riflessioni che poi hanno avuto corso con l’istituto per gli studi su matrimonio e famiglia e con la pubblicazione della lettera apostolica Mulieris Dignitatem e la Lettera alle famiglie.
Il rapporto con Giovanni Paolo II è diventato più intenso quando Scola fu nominato rettore della Pontificia Università Lateranense e preside dell’istituto per gli studi su Matrimonio e Famiglia. “San Giovanni Paolo II – scrive Scola – mi ha cambiato la vita, concretamente, non per modo di dire. Il mio rapporto con lui è sempre stato caratterizzato da una grande confidenza e da un delicato affetto, senza ombra di incomprensione”.
Anche qui sono tanti i ricordi di Angelo Scola con il papa polacco, definito dalla stampa in tanti modi: papa globetrotter, papa geopolitico, papa anticomunista…Per Scola invece, era un papa prima di tutto mistico che viveva un rapporto di straordinaria immediatezza con Dio. Wojtyla è stato “un pensatore originale dotato di una robusta tempra intellettuale che si è manifestata nel suo magistero pontificio”. Per Scola, “Karol Wojtyla ha saputo testimoniare la bellezza del messaggio cristiano dentro una grande passione per l’umano”. Mi interessa il giudizio del cardinale emerito su Papa Wojtyla, vista la mia intenzione di pubblicare uno studio proprio sul grande papa per rendere omaggio alla sua canonizzazione. Prima di essere un grande Papa, era un grande uomo, dotato di una sensibilità artistica e filosofica potenziata da una fede granitica e segnato dall’esperienza diretta di tragedie inimmaginabili e di contraddizioni sociali e politiche. Naturalmente anche Scola sottolinea l’influenza esercitata da Giovanni Paolo II sui cambiamenti politici del suo paese ma anche per quanto riguarda l’Europa, con le sue critiche al Preambolo della Costituzione europea.
Il 9 capitolo racconta la sua esperienza di vescovo più giovane d’Italia a quarantanove anni nella rossa Grosseto. Qui ha compreso che il pastore deve calarsi nel gregge e sentire l’odore delle pecore come sostiene papa Francesco. Altra esperienza particolare da raccontare è quella degli anni trascorsi da patriarca a Venezia. Una città particolare, che rappresenta il mondo orientale e occidentale. Una città dell’umanità, per la forza della sua storia e non si tratta di fare retorica. In questi anni Scola ricorda della fondazione Marcianum, un polo scolastico e accademico e poi soprattutto il centro internazionale Oasis, una rivista per favorire rapporti di conoscenza e di dialogo con il mondo islamico e sostenere le minoranze cristiane in Medio Oriente. In questo contesto Scola fa riferimento alla categoria di “meticciato di civiltà”, un neologismo che all’inizio ha suscitato varie critiche ma poi è diventato un termine molto usato nel dibattito sui movimenti migratori. Comunque per il cardinale il suo discorso venne interpretato come un invito al sincretismo e al multiculturalismo. Tuttavia il riferimento al meticciato vuole essere “un processo in atto, non per teorizzare un progetto”. E chiarisce il cardinale, “i processi per verificarsi non domandano il permesso a nessuno, vanno accettati, studiati e, fin dove è possibile, orientati con pazienza creativa e costruttiva”. E qui il libro analizza la questione immigrazione di massa, con la distinzione tra rifugiati e immigrati economici. Scola non sembra preoccupato di questa immigrazione, occorre guardare la realtà con realismo, nel passato ci sono stati dei momenti simili. Certo i cristiani dovrebbero coltivare la propria identità. In questo contesto si affronta la spinosa questione del rapporto con l’islam e sull’altra questione della riforma dell’islam che accettino il principio moderno della laicità dello Stato. E poi c’è il rapporto delle religioni con la violenza, la questione del fondamentalismo jihadista. Non c’è dubbio che l’espansione dell’islam a opera di Maometto sia avvenuta con l’uso della forza. D’altra parte anche nel Vecchio Testamento, si resta impressionati dalla quantità di violenza in nome di Jahweh. Anche il cristianesimo si è diffuso nel segno delle persecuzioni subite e del martirio, ha conosciuto stagioni di violenza come quello segnato dalle guerre di religione. Tuttavia Scola sottolinea che “non si può confondere la libertà religiosa con l’indifferentismo o con il relativismo. Al contrario, la libertà di coscienza implica sempre il dovere di accogliere la verità”.
Il 15 capitolo tratta del rapporto di Scola con Benedetto XVI, un Papa “umile servitore della vigna”. Viene analizzato il suo pontificato se è stato più o meno dottrinale, come sostengono alcuni analisti. Se ha avuto qualche lato debole, per esempio nella gestione della Curia, la mancanza di autorevolezza nel prendere decisioni. “L’importante è preservare la fede oggi,lo considero il compito centrale”, tutto il resto sono questioni amministrative, diceva Benedetto XVI.
Al capitolo 16, viene analizzata l’epoca del cardinale Camillo Ruini e la sua presidenza della CEI, e poi della questione dei “principi non negoziabili”. Una frase che potrebbe insinuare che la Chiesa è chiusa al confronto. Pertanto, sarebbe auspicabile parlare di principi “irrinunciabili”.
Nel 2011 Angelo Scola diventa arcivescovo di Milano, una Chiesa di popolo. Pare che il papa Benedetto XVI abbia voluto dare un segnale di rottura con il passato? Per Scola forse è meglio parlare di discontinuità. Certo una certa diffidenza forse è rimasta nei confronti del cardinale ciellino. Per quanto mi riguarda ho apprezzato la presenza di monsignor Scola alla celebrazione eucaristica della domenica sera per tutto il periodo dell’Avvento, in preparazione del Santo Natale e penso anche i numerosi fedeli milanesi, presenti alla celebrazione.
Infine sul pontificato di papa Bergoglio, Scola non vede nessuna rottura con il passato, anche se ci possono essere elementi di discontinuità, che peraltro sono vitali per la Chiesa, che certamente non contraddicono con la Tradizione.
Interessanti le riflessioni di Scola sulle critiche a papa Francesco. Accomuna i detrattori con i tanti ammiratori. Vede uno squilibrio nel giudizio. Sono fuori dalla realtà sia quelli che lo giudicano un eretico, sia quelli che lo esaltano perchè cerca di riportare la Chiesa a vivere in modo evangelico dopo pontificati segnati da chiusure e trionfalismi. Chi ragiona così gli fa un pessimo servizio. “i primi sono arrabbiati perché Francesco non dice quel che pensano loro.I secondi si ritengono soddisfatti perché Francesco direbbe quel che loro hanno sempre detto e pensato in questi ultimi cinquant’anni che avrebbero visto il tradimento del Concilio vaticano II, solo adesso finalmente e pienamente accolto”. Comunque sia per Scola “c’è una stretta continuità tra Francesco, Benedetto XVI e san Giovanni Paolo II […]”.
Interessante una nota finale in merito al libro del giornalista americano Rod Dreher, “L’Opzione Benedetto”, vale a dire creare piccole comunità di credenti, dove viene conservata la fede, come unica forma di resistenza alla deriva nichilista della società post moderna. Ma questo è un tema che ho affrontato a suo tempo presentando il libro di Dreher.