La sua opera più grande fu indubbiamente la reggia di Caserta, una meraviglia di bellezza tra realtà e sogno, ora patrimonio dell’Unesco. Fortemente voluta già nel 1750 da Carlo di Borbone (1752-1775) che per splendore e grandezza superò Versailles e non solo perché era dotata anche di acqua corrente e servizi igienici come il bidet. Costruita dominante fra i monti Tifatini con a fronte il mare, fra Aversa e Maddaloni, ha una pianta rettangolare lunga duecento cinquanta metri e larga centottanta. Si compone di ben milleduecento stanze, quattro cortili, una cappella e persino un teatro che non era previsto nel progetto originario del palazzo, infatti non si trovano informazioni relative all’edificio né nei primi disegni preparatori del Vanvitelli, né nelle prime tavole della prima edizione della Dichiarazione. Quindi la sua costruzione iniziò nel 1756, tre anni dopo l’inizio dei lavori per la Reggia. Da secoli si erge come la più grandiosa espressione di quel rinnovamento classico architettonico che è alla base dello stile del suo ideatore di cui ne sappiamo ben poco.
Ebbe i natali il tra il 12 e il 26 maggio 1700 a Napoli, il suo padrino di battesimo fu l’illustre viceré della città campana e di cui, per onore portò il nome. Sua madre era la partenopea Anna Lorenzani, figlia del medaglista Giovanni Andrea. Il padre di Luigi era famoso il pittore di vedute l’olandese Gaspard van Wittel, detto Gaspar dagli occhiali, poi italianizzato in Gaspare Vanvitelli, chiamato nel 1699 a Napoli dal vicerè Luigi Francesco de la Cerda, duca di Medina Coeli per affrescare il Palazzo reale. Egli cerco di indirizzarlo alla pittura con scarsi risultati, ci restano comunque di lui in quest’arte: la decorazione absidale della chiesa del Suffragio a Viterbo, gli affreschi della cappella delle reliquie in S. Cecilia a Roma, un quadro a olio della Santa nella stessa cappella e dei cartoni per la riproduzione in mosaico dei quadri della Basilica di San Pietro a Roma. Quindi, notando la sua forte inclinazione all’architettura, preferì affidarlo al siciliano, di cui era molto amico, Filippo Juvara perché ne diventasse il mentore e la prima notizia di una collaborazione del Vanvitelli con Juvara ci proviene da Lione Pascoli: Il giovane Vanvitelli, di ritorno da Roma e in compagnia paterna e in possesso di suoi vari disegni di architettura per abbellire stanze e persino chiese che non furono prese in considerazione, incontrò Juvara allora impegnato nel disegno in prospettiva della nuova chiesa patriarcale e del real palazzo di Lisbona, a questa circostanza sono connessi alcuni disegni preparatori riferibili a una collaborazione tra loro. Così il rinomato architetto, su richiesta paterna, accetto di prendere il giovane ancora in erba sotto la sua ala protettiva e la sua guida gli fu indispensabile per farlo diventare uno dei più abili costruttori italiani. Luigi Vanvitelli proseguì poi sulle sue gambe, arrivando ad osservare e misurare i monumenti della Città Eterna, prese a modello Vitruvio e i trattatisti del ‘500. Riuscì così a delineare il suo stile, che fu unico ed inimitabile: Accosto il barocco al classicismo arrivando ad adattare lo stile francese al già raffinato gusto italiano, ma per arrivare a questa sua maturità artistica dovette passarne ancora tanta di acqua sotto i ponti.
Ci è dato sapere che i suoi primissimi lavori furono il restauro del palazzo Albiani e le chiese di S. Francesco e di San Domenico a Urbino, mentre il suo primo progetto importante fu la costruzione del Lazzaretto di Ancona nel 1733. Nel 1735 si trasferì a Roma e ottenne la carica di architetto di S. Pietro, in quegli anni trasformò le Terme di Diocleziano nella Chiesa Di Santa Maria Degli Angeli, lavoro iniziato dal più illustre Michelangelo Buonarotti, e il progetto di una cappella per il re portoghese. Rimase a Roma finché il re di Napoli ottenne il permesso da papa Benedetto XIV di averlo al suo servizio, inizio così per lui l’ultimo e più fecondo periodo della sua laboriosa esistenza, gli si devono tra le altre cose: La costruzione dell’acquedotto Carolino, ben quaranta chilometri di conduttura che si snodano sapientemente attraverso cinque colline e su tre viadotti. Il ponte di Eboli e quello di Benevento.
Malauguratamente la sua vita terrena terminò il 10 marzo del 1773, quando i lavori della reggia erano terminati purtroppo soltanto sulla carta, ma ancora ben lungi dall’essere effettivamente completati. Tra i quattro figlio che ebbe, Carlo, nome probabilmente datogli proprio in onore dell’illuminato monarca borbonico, più di tutti fu quello che seppe raccogliere la sua eredità e continuare la sua opera, dal 1773 fu il primo architetto di corte. La neanche la sua esistenza bastò a completare i lavori della Reggia, dovettero susseguirsi altri architetti, che si erano formati proprio alla scuola del Vanvitelli, portando a compimento solo nel secolo successivo questa residenza reale più unica che rara.
Maria Lupica
Fonti: Enciclopedia Treccani.