Il racconto è breve e viene pensato come una dedica all’insegnante della scuola d’arte Istituto Palizzi, Adele Cilibrizzi. É preceduto da una prefazione dove la Fasano prende in dovuta considerazione la strada complessa che autori ed autrici, come lei, della “vecchia scuola” debbono praticare per adeguarsi all’era del digitale, compiendo quel salto obbligato dalla macchina da scrivere e controverse relazioni con gli editori, al portatile e al self publishing, un cambiamento rapido quanto drastico che ha rivoluzionato il mondo della letteratura. Nipote d’arte, giornalista, scultrice, pittrice, poetessa e scrittrice, la Fasano ama sovente annoverarsi nella categoria da lei definita “figli di un dio minore”, riferendosi all’oceano più o meno invisibile degli autori che non arrivano a godere dei voli promozionali garantiti dai grandi colossi editoriali (“comunque in crisi”).
Fa sorridere, immaginarla seduta davanti alla sua Olivetti a correggere gli errori (oggi si chiamano “refusi”) col bianchetto, o trascorrere le ore in biblioteche non proprio a chilometro zero, e ritagliarsi gli spazi più impensabili per le infinite riletture, tra gli impegni di giornalista e di madre, prima di presentare un manoscritto all’editore.
“L’odore dei libri, per i ragazzi delle sue classi, non potrà mai apparire piacevole come appariva a lei, quando ne teneva uno tra le mani. Fosse quello “nuovo” dei testi scolastici, oppure quello “antico” dei libri della biblioteca del padre”.
Il ricordo più prezioso va alla prof.ssa Cilibrizzi, che col suo “sorriso quasi mesto” allorché Bianca bambina le confidò di voler diventare una scrittrice, anziché metterla in guardia da una strada tutta in salita la fa da inconsapevole “sprone”; quel sorriso, sulle prime non interpretato, apre un varco nella coscienza della piccola artista, che pensa le poesie sull’autobus e a casa le trascrive, accompagnandola fino all’età adulta.
Infiniti modi ha l’artista di forgiare dentro il suo vissuto più significativo la misteriosa spinta a procedere.
Loredana Zino