Giovedì 10 novembre, alle 18, sarà inaugurata a FOQUS Fondazione Quartieri Spagnoli di Napoli (via Portacarrese a Montecalvario, 69) la mostra di Antonio Dentale, dal titolo “La mano intelligente”.
Il percorso artistico dell’architetto napoletano è iniziato negli anni Sessanta, quando, sotto l’egida di Luigi Castellano (“Luca”), contribuisce alla formazione dell’NA6 (1962) e poi dell’Operativo Sud 64 (1964), gruppi di pittura d’avanguardia. Nel clima infuocato dei primi anni Settanta, il conflitto fra politica e cultura sembra imporgli una scelta netta: catturato dalla prima, decide di interrompere l’attività artistica, ripresa poi solo all’inizio del Duemila.
La personale proposta ai Quartieri Spagnoli raccoglie l’ultima produzione di Dentale, che contempla mitologie remote, trattate in modo del tutto originale, dove la classicità diventa un soggetto esotico e fiabesco.
Con l’artista, interverranno la giornalista Titti Marrone, l’architetto Donatella Mazzoleni, e il sociologo Luigi Caramiello. La mostra potrà essere visitata fino a domenica 11 dicembre.
Nota introduttiva dell’autore
La civiltà degli uomini inizia con la scoperta che il dito pollice opponibile, risultato di un errore di duplicazione, può essere utile non solo per fabbricare utensili di ogni genere necessari alla vita, ma anche, mediante la scrittura, inventando storie reali ed irreali, possibili ed impossibili, a raccontare memorie, emozioni e sensazioni.
Gli uomini avevano così scoperto la mano intelligente, l’utilità di affinare le dita, di metterle in collegamento diretto con l’intelligenza e la capacità di progettare il presente per guadagnarsi il futuro. E così, adattandole a tutte le possibili necessità, mettendole al lavoro con pazienza, perizia, apprendistato e il tempo sufficiente, produrre gli strumenti necessari ad antropizzare il mondo, imparare a scegliere le soluzioni più consone, rifinire il gusto, elaborare, memorizzare e tramandare una cultura materiale in grado di realizzare le figure di un potere ma anche di una fantasia, sempre più sviluppata, sulla natura.
In un corpo a corpo serrato con la durezza dei materiali e la difficoltà dei magisteri, la mano intelligente si è sperimentata in tutte le direzioni possibili. E prima che le avanguardie all’inizio del XX secolo facessero il salto dal sensibile all’intellegibile, anche nell’arte (techne) della pittura, della scultura e dell’architettura.
La produzione artistica, in particolare quella legata alla rappresentazione figurativa, è stata per un lungo tratto della storia dell’umanità una sorta di paradigma della qualità, il termine ultimo, l’orizzonte permanente del lavoro artigianale. Una singolare e perfezionata capacità di tenere insieme testa e mano che oggi, almeno nella sua forma tradizionale, come tutti gli altri lavori artigianali, tende a scomparire.
Per essere artisti in questo nostro presente, forse bisogna sempre di più assomigliare a Dio, che per creare non ha bisogno delle mani.
Alcune volte basta anche solo pensarle le cose e il manufatto, quando c’è, finisce per essere solo un pretesto. Contano più le intenzioni, il contesto, la cornice e la quantità di denaro in grado di mobilitare, che l’oggetto in sé.
E così quel dito, produttore di storia, sembra oggi servire, quasi solo, per abbottonarsi i pantaloni. E d’altra parte non c’è guadagno che non abbia un costo. Le moderne tecnologie hanno reso e renderanno sempre di più superflua la fatica e così la mano, da intelligente che era, diventerà sempre più stupida. È un caso particolare di quel processo di concentrazione ed espansione dell’intelligenza collettiva, potenziata da quella artificiale a scapito di quella individuale. Sempre più uomini senza qualità contrapposti a pochi super intelligenti, con una polarizzazione fra i moltissimi che ignorano quasi tutto e i pochissimi detentori di scienze e coscienze.
Per un momento però facciamo finta di dimenticare quella che potrebbe essere una specie di distopia, una visione catastrofica, o forse no, del futuro. Facciamo finta di poterci ancora fidare della mano ed affidarci ad essa. E così un signore sufficientemente agé e persino inattuale, ne fa il soggetto e il testimone silenzioso della sua produzione pittorica.
Antonio Dentale, l’homo faber, che, afflitto dal delirio di onnipotenza, si affatica a governare e controllare ogni gesto, ogni campitura di colore alla ricerca di un racconto che, congelato nella geometria, pesca nel passato, per figurarsi il presente e nel presente per immaginarsi il passato.
E il futuro? Il futuro, per ragioni che non dipendono da lui, è cosa fuori della sua portata.