Parla Marco Zigon (presidente Getra e Fondazione Matching Energies)
“Il Mediterraneo rappresenta il presente e il futuro energetico europeo”. E’ l’assunto principale dell’intervento di Marco Zigon, presidente di Getra e della Fondazione Matching Energies, pronunciato in occasione dell’incontro sul tema della sostenibilità, sicurezza e innovazione per l’Italia come hub energetico euromediterraneo, organizzato a Roma lunedì 27 marzo dalla Fondazione Matching energies in collaborazione con Merita di Claudio De Vincenti.
Presidente, si parla di Mediterraneo come nuova frontiera di sviluppo da tempo, ma resta ad oggi anzitutto il mare della tragedia dell’immigrazione. Si pensava che dal raddoppio del canale di Suez, avvenuto nell’agosto del 2015, ci sarebbe stata una svolta, specie dopo la formulazione del New Green Deal. Invece l’Europa invece è stata risucchiata nel braccio di ferro tra Est/Ovest, con la guerra in Ucraina come punto più aspro. Qual è la sua opinione su questo aspetto?
Io dico invece che nel Mediterraneo con c’è solo il futuro dell’Europa, ma anche il suo presente. Perché anche la fase che attraversiamo, fortemente influenzata dalle dinamiche geopolitiche mondiali, vede il gas è ancora elemento preminente. Da questo punto di vista è innegabile: il Mediterraneo è al centro.
Con l’entrata in guerra della Russia in Ucraina, la mappa degli approvvigionamenti di gas dell’Italia è mutata rapidamente…
Lasciamo parlare i dati. Quelli del Mise, aggiornati al 2021, dicono che l’Italia estrae il 4,4% del gas che consuma. In altre parole, produciamo 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale, ma ne utilizziamo 76,1 miliardi. Se nel 2021 il maggiore partner per l’importazione era la Russia, con 29,1 miliardi di metri cubi transitati dal Tarvisio verso il nostro Paese, già nel 2022 la quota di gas proveniente da Mosca è scesa del 61%, ossia a 11,2 miliardi di metri cubi.
Ora il gas arriva in Italia per il 34.3% dall’Algeria attraverso il Transmed, non è così?
Per la maggior parte sì. Poi per il 14.8% dall’Azerbaijan attraverso il TAP, per il 10.3% dal Nord Europa (Olanda e Norvegia) e per il 3.8% dalla Libia. La quota russa è quindi scesa al 16%.
Poi dobbiamo considerare il gas naturale liquefatto, proveniente principalmente da Qatar, Stati Uniti, Nigeria ed Egitto.
Anche il Gnl vede ancora una volta il Mediterraneo protagonista. Con il rigassificatore al largo di Porto Viro, impianto offshore nell’Adriatico, il più grande con una produzione annua di 8 miliardi di metri cubi di gas. Ad esso si affianca quello di Panigaglia, il più vecchio, di tipo onshore, ossia costiero, con una produzione annuale di 3,5 miliardi di metri cubi. Il terzo rigassificatore è una Fsru (floating storage regasification unit): una grande nave con una capacità annuale di 3,7 miliardi di metri cubi, che si trova al largo tra Livorno e Pisa. Nel breve periodo ad esso si aggiungerà la Fsru di Piombino, da 5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, operativa entro maggio. Mentre per il nuovo rigassificatore di Ravenna bisognerà aspettare fino all’estate del 2024. In breve questo tipo di gas ci darà circa un terzo dell’intero piano di diversificazione delle fonti energetiche utile a ridurre la dipendenza dalla Russia.
Ma il Mediterraneo rappresenta anche il futuro energetico europeo, che vede le rinnovabili come protagoniste, non è così? Con una chiara premessa: non si può contemplare un’autonomia energetica basata sulle rinnovabili contando sul solo territorio nazionale. Quindi, ancora una volta, lo scenario è di tipo euromediterraneo, con il Mezzogiorno di Italia che funge da hub naturale.
L’esigenza di sostituire l’approvvigionamento russo a seguito del conflitto tra Russia e Ucraina ha prodotto anche un altro effetto: ha posto un freno al forte impulso alla transizione energetica avviato con il Green New Deal…
Bisogna tornare a spingere sulle rinnovabili in maniera importante e bisogna farlo in vari modi.
Quali?
La principale criticità riguarda il deployment, ossia processo di rilascio delle autorizzazioni. Molti progetti rinnovabili sono, infatti, al momento, bloccati nei procedimenti autorizzativi. Altri snodi riguardano lo sviluppo di adeguate tecnologie e infrastrutture, sia sotto l’aspetto dell’aumento della capacità di stoccaggio che dell’ammodernamento della rete.
Torniamo alla necessità strategica, per l’Europa, di importare quote massicce di energia solare ed eolica dalla sponda Sud del mare nostro. Cosa può dirci su questo aspetto?
Questo obiettivo che poggia su diversi presupposti. Anzitutto la premessa necessaria del raggiungimento di un quadro di stabilità politica nei paesi interessati. Non meno indispensabile è la maggiore interconnessione transcontinentale delle reti elettriche. Per quanto attiene al nostro Paese, occorrono interventi di potenziamento e smartizzazione della rete elettrica, affinché l’Italia sia per davvero lo snodo dell’hub euromediterraneo delle rinnovabili. Infine occorre una buona integrazione sistemica delle diverse commodities.
Può spiegare che cosa intende a questo riguardo?
Penso ad esempio all’ energia elettrica rinnovabile da nuovi oleodotti, all’idrogeno verde e gas di sintesi attraverso i gasdotti esistenti, ai biocarburanti e combustibili sintetici liquidi attraverso rotte marittime. Se queste premesse saranno rispettate, sarà possibile un ritmo di crescita della capacità rinnovabile in Medio Oriente e Nord Africa stimata in oltre il 100% nei prossimi 5 anni: da 15 GW ad oltre 32.
Quali Paesi della riva Sud possono essere, a suo parere, maggiormente coinvolti?
L’espansione della capacità è concentrata in cinque Paesi: Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele, Egitto e Marocco. Ma insisto: le interconnessioni di rete con L’Ue sono fondamentali per un futuro a basse emissioni di carbonio e l’Europa si trova dinanzi a di una scelta obbligata se vuole capitalizzare le energie rinnovabili presenti nei Paesi dell’Area del Nord africa e del Medio Oriente.