Sembra una maledizione, ma è da qualche anno a questa parte che i “previsori” non azzeccano le “previsioni”. Succede nelle stanze blasonate del Fondo Monetario Internazionale, in quelle non meno autorevoli dell’Ocse e anche a casa nostra, con l’Istat che puntualmente sottostima la crescita italiana e poi è costretta a tornare sui suoi passi rivedendola al rialzo. La buona notizia è che, con le stime aggiornate relative al 2023, il Prodotto Interno Lordo Italiano si attesta sullo 0,9%, con un effetto di trascinamento per l’anno in corso dello 0,2%. Un traino che potrebbe portare a ritoccare all’insù le stime 2024, fondamentali per capire se l’Italia riuscirà a centrare gli obiettivi di deficit concordati con Bruxelles e ad evitare una manovra correttiva subito dopo le elezioni europee.
I nuovi dati a disposizione – in attesa della revisione di settembre in coincidenza con la Nadef – consegnano u po’ a sorpresa ai tecnici del ministero dell’Economia che sono già al lavoro sul Documento di Economia e Finanza, un quadro decisamente migliore rispetto a quello su cui si apprestavano a lavorare. E questo per l’effetto congiunto di una discesa dell’inflazione più veloce del previsto e di un’economia che continua a marciare ad un ritmo superiore a quello della media europea e dei diretti concorrenti francesi e tedeschi. Due dati che portano ad un Pil nominale 2023 sensibilmente più alto (di oltre un punto) dei preconsuntivi non solo per la più forte crescita, ma anche e soprattutto per un’inflazione (deflatore del Pil) maggiore rispetto a quanto si conosceva (per il 2022) e si attendeva (per il 2023). Grazie principalmente a questo effetto, il rapporto debito/Pil del 2023 si è abbassato di quasi 3 punti (al 137,3%) nel confronto con la previsione Nadef, nonostante il più ampio disavanzo e nonostante l’eredità ancora molto pesante dei crediti legati al superbonus. Se a questo aggiungiamo il fatto che la crescita reale del 2024 dovrebbe beneficiare anche un effetto trascinamento più elevato, non sembra impossibile per il Mef avvicinarsi a quell’obiettivo di crescita dell’1,2% del Pil messo nero su bianco nella Nadef. Un ulteriore aiuto alla
finanza pubblica potrebbe arrivare dalla discesa dei tassi di interesse prevista nella seconda metà del 2024. Quest’anno, infatti, lo stock di titoli in scadenza si avvicina ai 400 miliardi di euro. Il successo dell’ultima emissione di Btp valore, con un collocamento che ha superato i 38 miliardi di euro, dovrebbe spingere il ministro dell’Economia a ritoccare al ribasso i rendimenti,
che viaggiano ancora in rialzo di due centesimi rispetto alle emissioni di inizio anno. Non si tratta di un particolare di secondo piano: rendimenti inferiori significano anche un alleggerimento
degli oneri degli interessi sul debito, valutati per quest’anno attorno ai 10 miliardi. Un trend positivo che trova, tra l’altro, riscontro nel calo del differenziale fra il nostro Btp a dieci e il Bund tedesco, ai minimi dal 2022. E ad acquistare non sono solo le famiglie e i risparmiatori italiani (che hanno portato nei rispettivi portafogli titoli per circa 35 miliardi) ma anche gli investitori esteri, segno dell’interesse dello “stellone” sui mercati internazionali, dettato anche dai buoni risultati che arrivano dai fondamentali della nostra economia.
Probabilmente, tutto questo non sarà sufficiente per evitare all’Italia di entrare nel cosiddetto “braccio correttivo” del Patto di Stabilità ed evitare una procedura di infrazione per deficit eccessivo, previsto nel 2024 al 4,3% rispetto allo soglia del 3%. Ma ci sono due fattori da considerare. Rispetto alle previsioni che davano un Pil italiano fra lo 0,7 e lo 0,8%, gli ultimi dati dell’Istat ci avvicinano alla stima contenuta nel Def, pari all’1,2%. Un obiettivo che a questo punto potrebbe non essere lontano, considerando anche l’effetto che sulla crescita potrebbe avere la dote di investimenti pubblici previsti dal Pnrr. Nel caso in cui lo scostamento di bilancio dovesse mantenersi attorno al 4,3%, con l’obiettivo di tornare al 3% entro il 2025, l’Italia potrebbe anche evitare di
ricorrere ad una manovra correttiva in corso d’anno ed aspettare l’entrata in vigore, dal 2025, del nuovo patto di Stabilità. Che prevede, tra l’altro, fino al 2027, uno sconto ulteriore sul deficit legato agli investimenti che rientrano negli obiettivi della transizione ecologica e digitale.