Non era affatto scontato che nell’agenda del G7 tornasse, di forza, il tema dell’industria. E non era per nulla
semplice individuare una linea e strategia comune fra i Paesi più sviluppati per affrontare sfide e problemi
destinati a cambiare in profondità il sistema economico a livello globale. Invece, quello che è andato in
scena ieri a Verona, nel cuore della locomotiva produttiva del Nord-Est, può rappresentare sicuramente un
punto di svolta. Giudizio esagerato? Per niente. Per almeno due motivi. Il primo: dopo sette lunghissimi
anni, infatti, la presidenza italiana del G7 e, in particolare, il responsabile del dicastero delle Imprese e del
Made in Italy, Adolfo Urso, sono riusciti a far sedere attorno ad uno stesso tavolo i ministri dell’Industria dei
Paesi più sviluppati al mondo. Ma non solo. Il summit è stato organizzato in un momento molto complesso
sullo scacchiere geopolitico, con una sessantina di conflitti sparsi un po’ dovunque nel mondo, Europa
compresa, mentre le economie mondiali sono scosse da rivoluzioni digitali e tecnologiche che stanno
cambiando radicalmente il volto dei nostri sistemi produttivi.
Non a caso, nella prima riunione ministeriale dell’anno italiano di presidenza del G7, Urso ha voluto
insistere su temi fondamentali, dai microchip ai semiconduttori, dall’intelligenza artificiale alle nuove
frontiere del digitale. Settori dove la competizione sta diventando, giorno dopo giorno, sempre più
agguerrita e dove giganti come la Cina possono conquistare spazi e quote di mercato entrando di forza
anche nei paesi Europei. Da qui l’importanza di strategie comuni ma a di ricette in grado di mettere insieme
e far dialogare, come ha spiegato Urso ai suoi colleghi del G7, lo sviluppo e la sostenibilità, la crescita dei
Paesi più ricchi e quelli più poveri, a partire dall’Africa e da quel piano Mattei che è in grado anche di dare
risposte al grande problema dei flussi migratori. Obiettivi che si possono raggiungere solo se i Sette Paesi
più grandi riescono a fare fronte comune e a parlare con una sola lingua evitando, così, il rischio di essere
“colonizzati” o di essere dipendenti da componenti (come i semiconduttori) o da tecnologie fondamentali
“per l’economia digitale, la sicurezza economica e la resilienza”.
La sfida dell’industria, del resto, è decisiva anche per garantire ai Paesi Occidentali di garantire e se
possibile aumentare l’attuale livello di benessere e di welfare, che può essere messo a dura prova proprio
dall’assenza di una politica industriale che sappia guardare al futuro e mettere in campo le risorse
necessarie per competere con gli altri Paesi del mondo. Da Verona, città scelta non a caso per il rinato
vertice del G7 dell’industria, può partire insomma un percorso virtuoso in grado di far tornare la
manifattura al centro delle politiche per lo sviluppo. Aver aperto un confronto ai più alti livelli su questo
tema rappresenta già un cambio di passo per recuperare il terreno perduto.