In una intervista a Repubblica, don Maurizio Patriciello, parroco di San Giovanni Apostolo nel cuore di Caivano, lancia un appello a Francesco Schiavone, il boss casalese conosciuto come Sandoka, figura notoriamente associata ai torti inflitti alle comunità casertane e napoletane a causa dei rifiuti tossici. “Indietro non si torna,” avverte il sacerdote, sottolineando l’importanza del pentimento e della redenzione davanti a Dio e alla comunità ferita.
Don Patriciello, da anni in trincea contro l’inquinamento ambientale e i suoi devastanti effetti, non lascia spazio a interpretazioni: la storia non può offrire clemenza a chi, come Schiavone, ha contribuito a seminare dolore e sofferenza. “Quanti funerali ho officiato per bambini, giovani mamme, padri…” riflette il parroco, ricordando le innumerevoli vittime innocenti.
Contrariamente a chi potrebbe vedere nella camorra solo una ricerca distorta di ricchezza, don Patriciello riconosce un male più profondo. “I camorristi non amano neanche i propri figli,” afferma, sottolineando come il vero amore guidi verso percorsi di vita costruttivi, lontani dalla violenza e dal crimine.
Un passo significativo verso la redenzione, secondo il parroco, includerebbe la restituzione dei beni accumulati illecitamente e la denuncia dei cosiddetti “colletti bianchi” che hanno fornito protezione e complicità al clan. “Senza di loro, saremmo stati solo piccoli delinquenti,” gli aveva confidato Carmine Schiavone, membro della stessa rete criminale.
Don Patriciello non esita all’idea di incontrare Schiavone, noto anche come Sandokan, per confrontarlo con le verità più dure: una vita fallita, segnata da decenni di reclusione e dal terrore di rappresaglie. “Hai il terrore della giustizia. E questa me la chiami vita?” chiede retoricamente il sacerdote, invitandolo a un sincero esame di coscienza.
Nonostante i dubbi sulle vere intenzioni dietro un eventuale pentimento di Schiavone, don Patriciello resta aperto alla possibilità di una trasformazione guidata dalla fede. L’esempio di don Peppe Diana, ucciso trent’anni fa per il suo impegno contro la camorra, è visto come una luce di speranza e ispirazione.
Il parroco conclude con un auspicio: che Schiavone possa realmente pentirsi, avvicinandosi a Dio e alla comunità con un cuore rinnovato. In quel caso, don Patriciello si unirebbe in un canto di gratitudine e redenzione, il Te Deum, celebrando un passo avanti verso la guarigione della comunità ferita.