DI ANTONELLA CATRAMBONE
Pedagogia della R-Esistenza è un percorso formativo che nasce in Calabria il 23 maggio del 2011 presso l’Università di Arcavacata, Cosenza, con l’idea di creare un’azione di trasformazione sociale in una terra complessa e marginale ma pur viva e ricca di storia. Il progetto è stato voluto e creato da Giancarlo Costabile, docente universitario e responsabile del Laboratorio di Resistenza Antimafia dove ha preso il via questo lavoro che va avanti, ormai, da quattro anni e le cui lezioni inizieranno il prossimo 2 marzo e a cui prenderanno parte circa 500 partecipanti. Incontro Giancarlo Costabile che mi racconta come nasce l’idea di creare questo cammino educativo.
“L’idea nasce da una messa in discussione radicale della mia vita. Pedagogia della R-Esistenza non è un giudizio morale sugli altri ma intanto su me stesso. E’ stata una reazione a ciò che ero diventato, vettore di un processo pedagogico di conformazione sociale. C’è sta una occasione, in particolare, che mi ha spinto a questo cambiamento, la lettura di “Terroni” di Pino Aprile che per me è un maestro. Pino Aprile in quel testo ci lascia in eredità una frase che è molto forte: sud è chi viene messo nelle condizioni di non essere e poi viene rimproverato per non essere. Io mi trovavo esattamente in questa condizione e mi sono messo a confronto con me stesso ponendomi la domanda se fosse mai possibile costruire una pedagogia in grado di reagire a quella che nel libro viene definita educazione allo stato di minorità. Il mezzogiorno vive una condizione particolare e a distanza di 150 anni dal compimento del processo unitario esiste, ancora, una condizione coloniale e di dipendenza che si riverbera in rapporti economici e sociali. Il proposito è stato quello di frantumare questo schema ideologico e sociale per costruire una società post coloniale, compiutamente moderna, senza vincoli subalternità tanto nei confronti del nord del Paese quanto nei confronti dei nuovi padroni del mezzogiorno, i mafiosi”.
Perché si chiama Pedagogia della R-Esistenza?
“C’è un obiettivo in questo progetto che consiste nel costruire un’alternativa di società rispetto a quella capitalista basata sulla mercificazione dell’uomo, valutato in relazione alla sua capacità di produrre ricchezza anzichè sulla sola base della sua esistenza”. Tale iniziativa trova le sue radici in una pedagogia popolare e di umanizzazione propria di Paulo Freire, pedagogo brasiliano che poneva la necessità di fornire ai popoli una educazione anticoloniale e don Lorenzo Milani, sacerdote ed educatore la cui vita rappresenta una grande testimonianza di fedeltà nelle sua scelta di essere dalla parte degli ultimi.
Che difficoltà hai riscontrato nel far nascere e portare avanti il tuo progetto educativo?
“Le difficoltà iniziali sono state tante perché il mondo accademico non era pronto ad affrontare delle sfide di questo genere. L’università italiana, purtroppo, dimostra di considerarsi, ancora, sostanzialmente estranea ad un grande processo di trasformazione sociale. D’altronde, il sistema di istruzione italiano è vecchio e non è costruito per emancipare gli uomini. Dobbiamo capire che la cultura non è una somma di nozioni e non sono queste a renderci uomini diversi e migliori. Se gli effetti della cultura non sono misurabili socialmente questa non serve a nulla e diventa strumento di solo potere e non di liberazione”.
Quale è stata la risposta dei ragazzi?
“Inizialmente contraddittoria, perché l’essere portatori di una grammatica nuova, che è fatta non soltanto di enunciati ma anche e soprattutto di comportamenti, ha fatto si che reagissero con grande interesse ma anche con grande paura. La paura di essere chiamati a misurarsi su comportamenti radicali che il sistema culturale e quello familiare non consideravano corretti. Non è semplice trovarsi difronte ad una realtà formativa assolutamente diversa da quella tradizionale in cui si invitano i ragazzi a reagire in maniera forte ad un potere che percepiamo come inviolabile, immodificabile. Per questo li portiamo nei territori ad alta densità criminosa, per dimostrare loro che il paradigma dell’inginocchiatoio e della subalternità può essere rotto e l’educazione è il primo strumento utile e necessario per poterlo fare”.
Cos’è per te la ‘ndrangheta.
“La ‘ndrangheta e le mafie non sono solo crimine organizzato ma linguaggio del potere centrale attraverso il quale la periferia, in questo caso il mezzogiorno, viene tenuta in una condizione di marginalità economica e sociale”.
Quanto ha inciso la tua fede spirituale in questa esperienza?
“La matrice di questo percorso è cristiana. C’è un luogo della Bibbia molto bello, quando Gesù entra nel tempio non limitandosi ad una predica di denuncia ma mettendo in discussione il degrado di quella struttura che da casa di Dio era diventata luogo del malaffare. Anche l’educazione religiosa è strettamente legata alla concretezza dei comportamenti. Il messaggio cristiano è il messaggio dell’amore, della cura dell’umano, della inclusione ed è forse l’antidoto più forte ad una società della violenza come la nostra perchè l’amore è coraggio”.