“Garantire che l’Agenzia per la coesione sia pienamente operativa per migliorare la gestione di Fondi Ue”. E’ una delle raccomandazioni che la Commissione europea ha inviato di recente al Governo guidato da Matteo Renzi.
Una mezza dozzina di “tiratine d’orecchie”, come usano dire i giornalisti, tra cui l’esortazione a mettere in campo il piano strategico per porti e logistica e ridurre i tempi della giustizia civile.
Tra i sei cartellini gialli sollevati da Bruxelles all’indirizzo del nostro esecutivo non c’è un ordine di priorità. Sono tutti di pari importanza. Ma l’Agenzia per la coesione territoriale assume l’aspetto di un paradosso.
I COMPITI NON FATTI
Quanto volte abbiamo sentito, esponenti di questo e dei precedenti governi nazionali, scaricare sul Sud la responsabilità di non saper spendere le risorse che l’Europa mette a disposizione delle aree svantaggiate?
Sembra quasi che il problema del divario esista, ma solo al di sotto del Garigliano. Il tema del Paese spaccato in due sembra non riguardare, invece, il resto dell’Italia, che comincia a marciare con percentuali di crescita al lumicino, e si accontenta chi gode.
Sta nel fatto che stavolta l’Europa prende a bacchettate il resto d’Italia (per dir così) e non solo le Regioni meridionali: a chi aspettate, insomma, a “garantire che l’Agenzia della coesione sia pienamente operativa…?”.
Nando Santonastaso, giornalista del Mattino e attento osservatore di questioni che riguardano lo sviluppo del Mezzogiorno, entra più in dettaglio. E dice: “In ognuna delle raccomandazioni la sfida per il Mezzogiorno è cospicua”. A cominciare, appunto, dall’Agenzia per la coesione “insediata da alcuni mesi a Palazzo Chigi e che finora si è notata poco anche per problemi burocratici che ne hanno condizionato la partenza…”.
Problemi burocratici?
Parliamo insomma di problemi della stessa natura di quelli che hanno impastoiato a tal punto Regioni e Comuni nei progetti supportati dai fondi Ue e che hanno portato alla necessità di disporre di una Agenzia. Renzi quindi non è riuscito ancora a spezzare il circolo vizioso ed oggi è costretto a incassare il monito di Bruxelles anche su questo.
Ma da quanto tempo Roma si attarda in questo delicatissimo – cruciale – compito? Quale e quanta è la sua responsabilità per la mancata ottimizzazione di un settore della macchina pubblica che è cruciale (a detta degli stessi esponenti di governo) per tentare di mettere su binari di crescita il vagone Mezzogiorno?
Il Mattino ha usato il guanto nel parlare di “alcuni mesi” sciupati a far melina a centro campo. “Sin prisa – diciamo – e con mucha pausa”. Facciamo un paio di passi indietro e vediamo da quanto tempo a Roma si parla di Agenzia di coesione territoriale.
PARTO DIFFICILE
La prima volta? Risale al battesimo della tecnostruttura, un varo almeno sulla carta. Siamo a fine agosto 2013. Al termine un Consiglio dei ministri tempestoso, che si conclude con un compromesso sull’aspetto più controverso – quale potere sostitutivo assegnare all’Agenzia nei confronti delle amministrazioni inadempienti nell’utilizzo di fondi – è Carlo Trigilia, ministro del governo di Enrico Letta, a precisare l’imprecisabile: “C’è la possibilità che la stessa Agenzia – spiega nel corso di una conferenza stampa – in condizioni molto particolari e ben definite possa intervenire direttamente nella gestione di alcuni programmi”. Quali condizioni? Si tratta, chiarisce, di programmi “particolari e in casi ben delimitati”. Comunque “in caso di gravi ritardi e gravi inadempienze”.
Era il 26 agosto 2013. Giorno in cui la creatura di Trigilia diede i primi vagiti.
Sono passati 21 mesi da allora, e con l’aria che tira ne passeranno altri due, visto che le priorità del governo sono e restano altre. Tra l’Italicum approvato a colpi di fiducia e la riforma della scuola che ha sollevato tante proteste, c’è di mezzo una elezione che si svolge a fine maggio. Perché mettere altra carne a cuocere?
AUTOGOL
A questo punto la domanda nasce spontanea. Se Bruxelles stigmatizza il governo Renzi per un ritardo che, evidentemente considera (ed oggettivamente è) gravissimo, nel caso l’Agenzia fosse vigente, non dovrebbe sostituirsi allo stesso governo in quanto amministrazione inadempiente? Intanto del decisivo settennato 2014-2020 – l’ultimo treno utile per l’utilizzo dei Fondi così come lo conosciamo – non si può nemmeno più parlare, perché nel frattempo abbiamo bruciato il primo anno e mezzo.
Ad agosto 2013 erano previste “120 assunzioni qualificate di alto livello con selezione rigorosa di persone con esperienza Ue e di uso dei fondi”.
Mai viste. Se si fa accezione per il direttore Maria Ludovica Agrò, messa a capo di un esercito senza uomini e senza armi.