“Nel 1938, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali, furono espulsi da questa Università, perché ebrei, i docenti:
Camillo Artom – Ordinario di Fisiologia Umana
Maurizio Ascoli – Ordinario di Patologia Generale e Anatomia Patologica
Alberto Dina – Ordinario di Elettrotecnica
Mario Fubini – Straordinario di Letteratura Italiana
Emilio Segré – Straordinario di Fisica Sperimentale
L’Ateneo di Palermo rende omaggio alla loro memoria e a quella di quanti ebrei ebbero a soffrire per l’abominio del razzismo fascista.
Possano le loro storie ergersi a monito contro la protervia dei complici e l’ignavia degli indifferenti.
Possa il sapere coltivato nelle aule universitarie contribuire a formare generazioni di giusti.
Roberto Lagalla – Rettore.”
Questo il testo della lapide commemorativa, proposta dal Dott. Daniele Iemma, sostenuta dall’Istituto Siciliano Studi Ebraici sugli approfondimenti di ricostruzione storica portati a termine dal Prof. Matteo Di Figlia e accolta con entusiasmo e immediatamente da parte di Roberto Lagalla, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo. La cerimonia di scopertura della lapide avrà luogo martedì 30 Giugno, alle ore 19.30, presso il rinnovato atrio dello Steri -sede del Rettorato.
Abbiamo incontrato, per l’occasione, il Dr. Pierpaolo Pinhas Punturello, Rabbino e rappresentante di Shavei Israel in Italia.
Rabbino Punturello, da dove riparte l’ebraismo a Palermo?
L’ebraismo palermitano, come molti elementi tipici della nostra realtà siciliana, non riparte nella sua essenza o meglio è sempre in una sua costante e rinnovata partenza dal 1493, anno dell’espulsione, da parte dei re Cattolici di Castiglia, di tutti gli ebrei che non vollero sottoporsi al battesimo forzato. Da cinque e più secoli a questa parte gli ebrei in Sicilia hanno sempre vissuto una costante partenza o meglio ripartenza: con il fenomeno dei benè anusim, gli ebrei costretti a fingersi cristiani ma restando ebrei pena il rogo, come testimoniano i graffiti a Palazzo Steri, con le immigrazioni o i passaggi clandestini di ebrei nell’isola lungo tutto il settecento, con i trasferimento di nuclei ebraci dal Nord Italia o dall’Est Europa e dalla Tunisia lungo tutto il novecento ed il nostro secolo e con i ritorni all’ebraismo dei discendenti dei benè anusim. Siamo sempre pronti a ripartire.
Come si muove la comunità ebraica del Sud?
I nuclei di presenze ebraiche a Sud di Napoli sono dei veri e propri presidi di ebraicità e di cultura ebraica reale in un mare di tensioni e realtà molto diverse ed a volte davvero pittoresche. Chi vive seriamente la sua ebraicità a Sud di Napoli non risponde solamente ad un richiamo ebraico di sana identità ma è, a mio parere, un eroe che naviga tra miti e mitomani, tra difficoltà oggettive di distanza da centri ebraici più numerosi e istituzioni locali che invece sempre più chiedono agli ebrei spazi di condivisione e di azione culturale. Il senso di ebraica responsabilità in questi piccoli presidi è molto alto, contemporaneamente il lavoro da svolgere è enorme, in un vasto territorio ed a volte questo può essere motivo di stanchezza, sfiducia, tensione. Nostro compito come istituzioni ebraiche nazionali ed internazionali è quello di sostenere questi nuclei sani, tenere a bada i luoghi meno sani ed essere un freno a miti, mitologie e mitomani.
Quali sono i metodi e i processi di comunicazione, organizzazione e relazione tra gli appartenenti alla comunità, oggi?
Le comunità ebraiche oggi vivono ed utilizzano tutti i mezzi culturali, tecnici e sociali che il mondo moderno può offrire: dai social network alle mail, dai twitter al telefono. Spesso però sono gli eventi culturali che si offrono alle città di residenza i luoghi attraverso i quali il messaggio ebraico giunge agli ebrei più lontani o più nascosti: la presentazione di un libro, l’accensione della Channukkià al Palazzo Steri, la conferenza di un rabbino in una libreria del centro di Palermo o Brindisi o Cosenza. Da questi eventi bisogna partire, come momenti di offerta culturale e di presenza ebraica al Sud ma anche come momenti di affermazione di presenza ebraica prima di tutto tra i membri di una comunità.
Integrazione, integrità, integralismo. Dove ci troviamo?
Non amo la parola integrazione perché nasconde in sé il senso storico di una assimilazione ai valori della maggioranza, di una perdita di se stessi in nome di una completa dissoluzione nell’altro, in colui che è numero più forte. L’integrità la recepisco come il senso più compiuto di una appartenenza religiosa, storica ed identitaria che deve essere vissuta con orgoglio e con alti valori etici: l’ebreo è chiamato ad essere integro agli occhi di Dio, mai integralista, ma coerente con sé stesso, con ciò che è il dato del suo essere e contemporaneamente pronto ad accogliere nella propria integra essenza ebraica la società che lo circonda, senza svendersi ma arricchendosi. L’integrità è la giusta risposta ad una integrazione che è perdita di sé ed un integralismo che è perdita dei valori condivisi con il resto del mondo. Noi, oggi a Palermo, lavoriamo per ripartire da ciò che fu integrazione forzata o volontaria, per trasformarla in integrità serena e fare in modo che non diventi mai integralismo.