Alessandro Corti
Non tornano ancora i conti di Renzi. Da una parte la promessa di un taglio radicale delle tasse. Dall’altra parte i primi annunci sui tagli, altrettanto radicali, nella sanità. E’ la logica, si dirà, della spending review, la regola aurea dei rapporti con l’Europa: la riduzione della pressione fiscale non può essere finanziata con nuovo deficit ma con il calo delle spese. Lo ha ribadito, la settimana scorsa, lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
Eppure, l’ennesimo balletto estivo delle cifre gettate un po’ a caso e delle inevitabili polemiche sulla sanità, alimenta l’amaro sospetto di un governo che, ancora una volta, con una mano dà e con l’altra toglie. Un copione già visto. Basta ricordare l’aumento dei balzelli locali per compensare la riduzione dell’Irpef. O, il taglio dei trasferimenti agli enti locali che è servito ad evitare l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia sottoscritte dall’Italia con Bruxelles.
La riduzione delle tasse è non solo doverosa ma essenziale per uscire dalla crisi e rimettere in moto un’economia che, negli ultimi sette anni, ha bruciato oltre 109 miliardi di investimenti e circa il 25% della sua capacità produttiva. Con una pressione fiscale che arriva fino al 60%, è davvero illusorio pensare a prospettive di crescita o di creazione di nuovi posti di lavoro.
Nello stesso tempo, però, bisogna evitare che il cantiere fisco venga aperto solo per mere convenienze politiche, magari per recuperare nei sondaggi, senza avere un orizzonte più ampio, che cambi in profondità la struttura della spesa pubblica.
Nella sanità, ad esempio, c’è molto da fare. Gli spazi di manovra su un bilancio che si attesta, più o meno, sui 110 miliardi di euro, non mancano. Ma attenzione alle facili scorciatoie fatte di nuovi ticket o tagli lineare dei servizi offerti. Il ministro Lorenzin si è subito affrettata a precisare che i risparmi saranno sinonimo di razionalizzazione della spesa e di lotta agli sprechi. Ancora una volta parole già ascoltate in passato e che hanno lasciato l’amaro in bocca ai tanti italiani che si sono visti ridurre le prestazioni o a pagare di tasca propria analisi e medicinali prima a carico del sistema nazionale. Negli ultimi quindici anni tutti i premier insediati a Palazzo Chigi hanno promesso di ridurre le tasse tagliando gli sprechi o combattendo l’evasione. Nessuno ci è riuscito con il risultato che spesa pubblica e pressione fiscale sono aumentate. A Renzi tocca il difficile compito di smentire una storia già vista tante volte. Magari recuperando quella spinta iniziale verso le riforme che, negli ultimi mesi, sembra essersi assopita. Una sfida difficile, complicata. Ma essenziale per non dare, ai cittadini, la sgradevole sensazione di trovarsi di fronte ad una riedizione, sia pure rivisitata mediaticamente, del vecchio gioco delle tre carte.
Fonte L’Arena