…Napoli, la maggiore città italiana al momento dell’unità e una delle più popolose del mondo fino alla metà dell’800, aveva una classe dirigente che relativamente funzionava. Non voglio negare i problemi di Napoli quando era capitale, i lazzari, le sacche di povertà; ma persino un signore incattivito col mondo come Leopardi contro Napoli aveva poco da ridire. E nel 1835 stipulò con l’editore Starita un modernissimo contratto per la pubblicazione delle sue opere. A Napoli, diciamolo, c’era una classe dirigente di livello europeo…
Poi c’è stata l’unità forzata dello stato italiano. Si è imposto ovunque un solo modello, quello torinese, che ha messo fuori gioco Napoli come Venafro (che) era una cittadina di tutto rispetto, dove il Re Vittorio Emanuele amava recarsi come riserva di caccia, ma che fu schiacciata dalla dominazione sabauda, anche con uccisioni, e non solo per problemi di brigantaggio. Applicare la regola ferrea, valida per tutti, ha distrutto la diversità di cui era ricca la penisola. Napoli ha pagato più di tutti, ma hanno pagato anche Roma , Venezia a se vogliamo la stessa Torino perché alla fine un modello simile non conviene a nessuno. E visto che la diversità non riesci mai a cancellarla del tutto, ma trova comunque una sua strada, ecco che abbiamo avuto una diversità malvagia, maligna, in città come Napoli e Palermo.
intervista del MATTINO di Marco Esposito, 28 luglio 2015