Se ne parla da fine luglio. Da quando la Svimez mise sul tavolo una serie di dati devastanti sull’arretratezza di metà del Paese. Poi lo scrittore Roberto Saviano lanciò il suo grido d’allarme sul Mezzogiorno dimenticato. “Se la ripresa c’è non sta di casa al Sud”. “Il Meridione? Non sta agganciando la crescita, anzi corre verso lo sprofondo…”. “Il sud fra il 2000 e il 2013 è cresciuto metà della Grecia…”
Una settimana dopo, direzione straordinaria del Pd, convocata d’urgenza. Per la priam volta Renzi parla di un masterplan per il Sud entro metà settembre 2015, ora inglobato nella legge di stabilità. Proposte concrete per rottamar ei piagnistei. No a riedizioni del Piano Marshall, no a rivisitazioni dell’intervento straordinario, no a leggi speciali. La leva per far ripartire il Sud, accanto a una robusta iniezione di infrastrutture, sono i 15 Patti (sette con le Regioni, gli altri con le aree metropolitane)… Quindici cluster, come usa dire oggi.
CAPITANI CORAGGIOSI
Quel che è certo è che la base economica campana esce molto segnata dalla crisi cominciata nel 2008. Mancano all’appello alcuni dei protagonisti della vicenda imprenditoriale degli ultimi venti o trent’anni, tra i primi Gianni Carità, che ha legato il proprio destino di protagonista della scena imprenditoriale al Tarì. Al Cis invece è l’ultima creatura (quella che è sembrata a lungo il polmone finanziario del sistema creato da Gianni Punzo tanti anni orsono), la Banca popolare di sviluppo ad essere stata al centro di uno scontro con Carlo Pontecorvo, finito sui giornali e in un crudo contenzioso. Dinanzi al compito di sollevare la Campania dalle secche in cui è arenata, mancano i capitani coraggiosi, i trascinatori dello sviluppo, che negli anni Ottanta, invece, sembrarono pronti a intestarsi la battaglia del cambiamento e la missione di fecondare con progetti ambiziosi un territorio difficile.
E dunque: cosa resterà di quegli anni Ottanta? Gli anni ruggenti in cui nacquero o decollarono progetti come, appunto, il Cis e il Tarì, il Polo della qualità e Oromare? Né Renzi né Claudio De Vincenti, probabilmente, potranno più contare sulla inaugurazione di una mostra o rassegna o fiera specializzata – per anni ne hanno prodotte – come palcoscenico simile a quello della Fiera del Levante o di Expo. Agglomerati imprenditoriali impressionanti per numero e per organico, per struttura e potenzialità, una volta potentissimi, hanno chiuso i battenti anche in anticipo con la devastante crisi del 2009. portando i libri in Tribunale. Altri faticano a risalire la china e a rimettersi in competizione con altri sistemi.
Cis, Tarì, Oromare (e per altri versi il Polo della Qualità, vicenda che ancora appare stretta nella morsa giudiziaria), hanno gettato radici negli anni Ottanta, appunto, consolidandosi nel decennio successivo.
Sono anni in cui a tratti l’economia regionale sembra possa definitivamente decollare seguendo la scia dei grandi progetti a trazione privata. Dopo la stagione dell’intervento straordinario (che si conclude con la soppressione della Cassa pe r il Mezzogiorno), dopo lo smembramento dell’Iri che fa delle Partecipazioni statali uno spezzatino, gli anni Ottanta consegnano al futuro due idee dominanti: la programmazione negoziata e i patti territoriali, che in breve si avviteranno in una complessa e artificiosa strumentazione; i sistemi complessi d’impresa che, viceversa, affidano la propria massa critica al traino di leader indiscussi.
Cis, Tarì, Polo della qualità e Oromare sono quindi creature che si incarnano da altrettanti capitani d’impresa. Consorzi che a lungo sono stati presi a modello di eccellenza, di cose buone fatta al Sud, di casi di successo sorti a dispetto del degrado territoriale. Sistemi commerciali a base consortile che sembrano tradurre, nel complicato contesto del Mezzogiorno, l’idea forte dei distretti industriali, nata nel Triveneto.
TUTTO IN UN PUNTO
Mettere tutti (e tutto) in un punto, strategicamente servito dalle vie di comunicazione (il Cis si doterà nel tempo anche di una stazione interna e una speciale linea di convogli merci, oltre che di dogana), consente di competere – e talvolta stare un passo avanti – con analoghi sistemi forti in Italia e all’estero. Storie in cui l’ambizione personale, che pure è un ingrediente che conferisce impulso a un progetto d’impresa, talvolta prende la mano, prevale sull’idea di organizzazione e progetto condiviso, sicché la capacità di resistere alle avversità e innovare quando occorre viene messa a dura prova.
Cis-Interporto-Vulcano Buono a Nola. Tarì e Polo della qualità a Marcianise. Oromare con le sue duecento aziende ubicate tra Torre del Greco, Napoli e ancora Marcianise. Cosa resterà di quegli anni Ottanta?
Sarebbero potuti essere tuttora gli interlocutori (se non unici, certamente privilegiati) di un governo impegnato nel recupero del divario meridionale, intenzionato a puntare anzitutto sulle sue risorse. Per motivi di varia natura, invece, la vicenda ha imboccato tutt’altra strada. In fondo alla quale c’è talvolta una parabola discendente, lastricata di sogni infranti, fallimenti, carte bollate, indagini giudiziarie.
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