Solo su un dato sono tutti d’accordo: l’economia mondiale deve tornare a crescere. Ma sulle ricette da mettere in campo per uscire dalla recessione e per allontanare quei nuvolosi carichi di incognite che si intravedono all’orizzonte, i Grandi della terra continuano ad essere inesorabilmente divisi. Il documento finale messo a punto al termine del G20 di Shangai è il frutto, infatti, di un pazientissimo lavoro di rifinitura e compromesso. L’esatto contrario, forse, di quello che avrebbero bisogno i mercati (e l’economia reale) per poter uscire dall’incertezza e affrontare con maggiore coraggio la sfida dello sviluppo.
I motivi di preoccupazione, infatti, non mancano. E sono emersi chiaramente nella due giorni del vertice cinese. C’è la spada di Damocle della cosiddetta Brexit, ovvero l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Un evento che potrebbe innescare una reazione a catena dagli esiti imprevedibili. C’è poi il grande problema dei migranti, centinaia di migliaia di persone in fuga dalle guerre e non solo dalla povertà o dalla miseria, come succedeva qualche anno fa. Senza contare, infine, le tensioni sui prezzo del petrolio e la paura, neanche tanto sottaciuta, di una nuova bolla speculativa che, partendo dalla Cina, potrebbe estendersi a tutti i mercati finanziari. Quanto basta, insomma, per poter trasformare quello di Shangai in un vertice di “emergenza” e non nell’ennesimo summit fatto di tante parole e pochi impegni concreti.
Certo, tutti i Paesi hanno assicurato che faranno il possibile per stimolare la crescita. Sugli strumenti da adoperare, però, si continua a parlare con lingue diverse. Da una parte gli Usa, che chiedono di stimolare la domanda (anche riducendo le tasse e alimentando l’inflazione) per far ripartire la produzione. Dall’altra la Germania, che proprio non ne vuole sapere di allargare i cordoni della borsa e punta, invece, a misure centrate, soprattutto, sulle riforme strutturali. Al centro, i paesi più moderati, a cominciare dall’Italia, che vorrebbero interventi più diretti per stimolare gli investimenti. Ma, ancora una volta, nessuno è riuscito a mettere in campo strumenti concreti per combattere la crisi ed evitare il rischio di una nuova recessione.