di Serena Santaniello
“Un patto tra borghesia, intellettuali e nuova politica. Ecco di cosa ha bisogno Napoli per cambiare immagine e narrazione della città”. E’ quanto auspica Marco Zigon, industriale energetico, presidente della Fondazione Matching Energies. Origini venete, ma napoletano doc innamorato della sua città, Zigon confessa: “Mi si stringe il cuore quando mi accorgo che ingegneri e manager che selezioniamo per le nostre aziende preferirebbero trasferirsi nelle nostre brench a Dubai o in Marocco, piuttosto che venire a vivere a Napoli”. Come industriale Zigon ha investito circa 30 milioni di euro negli ultimi dodici mesi, negli stabilimenti del Gruppo ubicati in area casertana. Come presidente della Fondazione, invece, si è caricato il peso di una missione forse più difficile. Quasi impossibile: proporre – all’Italia e al mondo – un “nuovo racconto” dalla città simbolo del Mezzogiorno. Scrivere pagine capaci di situarsi ben al di là di degrado, rifiuti, cattiva amministrazione e criminalità organizzata. Così ha riunito martedì 8 marzo, in un ineguagliabile gioiello architettonico qual è il Museo di Villa Pignatelli, oltre cento esponenti della società civile partenopea.
Con quale intento, ingegnere?
Avviare un percorso di ricostruzione del profilo di Napoli. Da città ordinaria di camorra e malaffare e città straordinaria soprattutto per i suoi aspetti positivi e propositivi.
Come si è svolto l’evento?
Come altre volte negli ultimi due anni nell’ambito della rassegna Napoli 2020. Cioè come seminario chiuso, anticipato stavolta da due relazioni economiche e due di taglio sociologico.
Il conforto dei dati economici è stato forniti da due prestigiosi centri studi partenopei: Banca d’Italia ed Srm.
Non è così?
Sì. Gli spunti sociologico-culturali sono venuti dalle relazioni di intellettuali come Domenico De Masi e Isaia Sales. Il tutto alla presenza di direttori, editorialisti, opinionisti che ogni giorno “tematizzano” Napoli. E, aspetto da rimarcare, di tre giornalisti della stampa estera.
Può farci i nomi?
Certo. Si tratta di Tom Kinghton, inglese di nascita e corrispondente del “Los Angeles Times”. Il cinese Zhang Lei per il “Quotidiano del Popolo”. Tobias Piller, del “Frankfurter Allgemeine Zeitung”. Tutti chiamati a dire se si può “Scommettere su Napoli”.
Lo dica lei. Si può?
Abbiamo anzitutto ascoltato le indicazioni dal mondo dell’economia, che hanno ribadito quanto contano nel mondo industriale il Mezzogiorno, la Campania e Napoli.
Quanto?
Nonostante i duri colpi della crisi, il peso economico del Mezzogiorno in Europa è considerevole, tale da confrontarsi con l’intero PIL di alcuni Paesi come Svezia, Belgio, Norvegia e Austria. In Italia il Sud rappresenta il 22,8% del PIL nazionale. Poi ci sono interi settori che esprimono eccellenze di sistema.
Parliamone…
Le «4A» generano nel Mezzogiorno oltre 10.000 mln di euro di valore aggiunto, pari al 18,4% dell’Italia. Si tratta di aerospazio, automotive, agroalimentare e abbigliamento. Ad esse vanno aggiunte le opportunità della logistica e della portualità con i nuovi scenari del raddoppio di Suez. A queste aggiungo anche le chance del settore energia in termini di investimenti in tecnologia e infrastrutture innovative.
La crisi ha portato in prima linea le imprese che hanno saputo evolvere, passando dall’export alla internazionalizzazione. Condivide?
Si, ma attenzione. In uno scenario globale conta l’integrazione tra le eccellenze, il fare sistema. Per vincere sfide competitive di scala globale, le eccellenze isolate non bastano. In questo occorre un salto di qualità. In una economia globalizzata l’eccellenza singola può sempre meno, e sempre di più vince il sistema, la capacità di creare tessuto connettivo.
Quello che manca al Mezzogiorno, quindi. E cosa manca invece a Napoli secondo lei?
Napoli ha molto bisogno che economia e contesto sociale siano l’uno il supporto per l’altro, andando di pari passo. Non si sviluppa economia d’impresa in un contesto sociale degradato. Parimenti, non si recuperano valori etici, comportamenti virtuosi, legalità e senso civico, se non c’è sviluppo economico.
Ecco perché lei parla di una rifondazione che sia economia ma anche etica ed estetica?
Oggi la città è percepita come dolente, isolata, plebeizzata. Dove manca la politica come sintesi della mobilitazione popolo, borghesia e intellettuali attorno a una nuova idea di città. Napoli ha molto da lavorare per il recupero delle macerie morali.
A che cosa si riferisce in particolare?
Mi riferisco ai comportamenti, al senso civico, al costume. Abbiamo bisogno di una grande opera di educazione e formazione per recuperare la percezione di Napoli come posto dove è sano ed è piacevole vivere, un luogo attrattivo per le persone, le risorse, le competenze qualificate di cui abbiamo bisogno per vincere le sfide della competitività nel mondo globale.
Ecco perché serve un “nuovo racconto”. Per liberare l’immagine Napoli da economia illegale, rifiuti, degrado.
Giusto?
Si ma attenzione. La vera chiave di volta, oltre al rilancio del valore principe del rispetto delle regole, sta nel superamento della malia del consumismo fine a se stesso, che ha inquinato le aspettative dei giovani ed ha spinto le classi sociali, anche la borghesia agiata, ad abbracciare la corsa allo status symbol a tutti i costi.
Può spiegare meglio questo concetto?
In una società sana, un giovane aspira ad acquisire conoscenze e competenze tali che gli permettano di svolgere un lavoro e occupare un ruolo gratificante e attraverso questo raggiungere il benessere. Purtroppo oggi nel nostro territorio molti giovani invece aspirano a conseguire status symbol del lusso, e magari senza attenzione al modo con cui conseguirli. Noi dobbiamo perciò riportare gli stimoli giusti al centro delle aspirazioni dei nostri giovani.
Qual è l’obiettivo della Fondazione nei prossimi mesi, con le elezioni ormai vicine?
L’obiettivo è un Rinascimento vero e non d’immagine. Una nuova identità per Napoli dove sicurezza e bellezza fruibile siano largamente percepite. Dobbiamo fare in modo che vivere e lavorare a Napoli divenga una prospettiva allettante. Questa è la sfida.
Occorre, lei ha detto, un patto tra borghesia e politica che favorisca la nascita di una nuova classe dirigente.
Quali forze di Napoli possono partecipare a questo cimento?
Dobbiamo chiamare a raccolta le energie nuove che competono nel mondo: i giovani ricercatori, le competenze universitarie, le imprese internazionalizzate. La politica può attingere da queste energie, divenendo così una guida capace di cambiare la percezione di Napoli in Italia e all’estero.