Si torna a parlare di Cassa per il Mezzogiorno e di classe dirigente al Sud.
Dopo le ricostruzioni di carattere storico (tra cui i lavori di Emanuele Felice e Amedeo Lepore), Gianna D’Adda e Guido De Blasio riassumono in un articolo pubblicato il 5 agosto sul sito lavoce.info i risultati di un recente studio in cui si evidenzia che, tra le cause principali della arretratezza del Sud, ci sia la bassa qualità del settore pubblico.
Gli autori trovano una conferma nelle vicende della Cassa per il Mezzogiorno, che passò alquanto presto (1965, legge 717) da una governance di tipo tecnico e centralistico, con forte autonomia rispetto alle pressioni politiche, a un assetto in cui prevalsero le istanze politiche locali, anche a seguito della istituzione delle Regioni (1970), e una scarsa attenzione alla efficacia degli interventi,
In altri termini: si assiste a un impatto negativo delle politiche di sviluppo solo quando la ripartizione dei fondi attraverso la Cassa per il Mezzogiorno ha sofferto di bassa qualità di governo ed è stata guidata da considerazioni politiche piuttosto che da quelli di efficienza.
“I risultati mostrano – affermano gli autori – che un effetto positivo della Cassa per il Mezzogiorno sulla crescita economica per tutti i comuni interessati per il periodo in cui il programma di aiuti venne gestito in base a un assetto centralistico e autonomo… Le evidenze cambiano, e drasticamente, per il ventennio successivo, quando gli esponenti politici locali iniziano ad avere un ruolo nella gestione degli interventi”.
Per scaricare lo studio:
http://www-sre.wu.ac.at/ersa/ersaconfs/ersa14/e140826aFinal00815.pdf