L’agricoltura italiana fa rotta sui giovani, scrive il Sole 24 ore in un articolo recente. Lo si evince dai dati sull’occupazione, che evidenziano un incremento considerevole di under 40.
La Confagricoltura valuta che del milione di posti di lavoro creati in questo settore, una fetta rilevante è appannaggio dei giovani. La Coldiretti registra nei primi tre mesi del 2016 un balzo del 15% dei dipendenti di età inferiore ai 35 anni.
Fare dell’agricoltura una scelta di vita (44mila imprese guidate da un under 35) non si può più considerare un fenomeno di nicchia. Secondo uno studio realizzato da Coldiretti, si consolida la tendenza ad avviare imprese agricole in cui agricoltori di prima generazione puntano dritti sull’innovazione, specie nel comparto biologico.
Oggi il 70% delle imprese under 35 opera in attività che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti, alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche agli agri-asilo e ad attività ricreative come la cura dell’orto e i corsi di cucina in campagna. Per finire all’agricoltura sociale per l’inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti, l’agri-benessere e la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili.
In tale contesto, particolare attenzione merita l’agricoltura biologica. In poderosa crescita, in barba alla crisi economica e finanziaria. E un mondo dal quale può venire un contributo importante all’economia meridionale, anche in termini di lotta alla disoccupazione giovanile. Sorretto da principi etici ed ecologici, perché il biologico è cura, selezione, rispetto per l’ambiente e la salute.
CRESCITA PODEROSA
La crescita dell’agricoltura biologica in Italia, Paese che eccelle nel mondo per export di prodotti bio, si legge anche dai seguenti dati: + 5,8 operatori nel 2013, + 5,4% della SAU biologica, un mercato che si attesta sui 3,88 miliardi di euro. E nel Mezzogiorno non c’è regione che non registri da anni variazioni significative sia per numero di operatori che per superficie coltivata.
Dietro il mondo dell’agricoltura biologica in crescita ci sono fenomeni che riguardano nel profondo gli orientamenti della società italiana. La crisi ha prodotto un sommovimento degli umori dei consumatori, dato impulso a nuovi usi e stili di vita, generato nuovi orientamenti culturali. Uno spaccato su cui è utilissimo soffermare l’attenzione.
Primo punto: l’agro-bio non è più un fenomeno di nicchia, ma poggia invece sulla domanda di consumo vasto. Si incardina con l’orientamento alla spesa delle famiglie italiane nel loro insieme. Il conforto dei dati è esplicito a riguardo. Gli acquisti domestici di prodotti biologici confezionati sono cresciuti in valore dell’11 per cento nel 2014, in netta controtendenza rispetto al -0,2 dell’agroalimentare nel suo complesso. Ma i consumi di prodotti bio confezionati restano concentrati su poche categorie: le prime tra coprono circa il 70% della spesa complessiva sostenuta dalle famiglie italiane.
CAMBIA LA VISIONE
Siamo quindi di fronte a un processo che è sociale e culturale, che trae origine da mutamenti del costume forgiati da sette lunghi anni di crisi economica: tramonto del lusso ostentativo, affermazione dei valori del recupero, rilancio del principio che manutenzione, sharing e qualità bastante siano anche nell’attenzione delle classi agiate.
Domanda e offerta tendono quindi a bilanciarsi. Ed ecco quindi che, quando si parla di biologico, si fa riferimento a un comparto che non ha nel mirino esclusivamente il reddito d’impresa, quanto piuttosto la forte inclinazione per la tutela ambientale e per la salute dei consumatori. Due spiccate caratteristiche che contribuiscono a profilare tali aziende, se non come imprese sociali, certamente come organizzazioni produttive in connessione strettissima con i nuovi orientamenti sociali. Esse, in altri termini, si distinguono dalle altre imprese perché hanno elevato a loro valore un principio che contrasta con l’dea tradizionale del business e cioè il codice dell’efficienza tipica dell’età industriale, che all’osso è utilitaristica: ottenere il massimo profitto profondendo il minimo sforzo.
Le imprese biologiche rispondono ad altre motivazioni oltre alla redditività. Continuano a perseguire l’efficienza per far quadrare i conti, ma non a scapito del benessere della comunità in cui agiscono. E in tutto ciò non c’è niente di bucolico perché i tempi del “piccolo è bello” sono finiti da un pezzo anche nel mondo rurale. Ora si punta a lanciare start up di settore, sfruttare l’e-commerce, agganciare il turismo e la green economy.