“Voglio portare nel cuore di Napoli il meglio dei balli della nostra terra, rinverdendo tradizioni musicali, consuetudini e gestualità antiche”. Oggi al Teatro Arca’s di via Vetrinaria 63, alle 19, presenterà “Danzare le radici”, corso-laboratorio di danza e cultura popolare e contadina del Sud Italia. Un progetto lungo un anno che Enzo “Tammurriello” Esposito, trentenne di Secondigliano, ha messo a punto con cura e con insolita passione.
Come si articolerà il corso?
“Nei primi tre mesi, vorrei fornire le basi per consentire ai partecipanti di cimentarsi da subito con i ritmi incalzanti dei tamburi e quelli cadenzati delle castagnette. Successivamente, si passerà a un approfondimento dei diversi stili”.
Quali danze intende proporre?
“Soprattutto tammurriate, quelle che alla lettera sono dette ‘danze sul tamburo’. Penso a quella dell’agro nocerino-sarnese, che è una danza di corteggiamento, alla pimontese, da quella dei Monti Lattari alla giuglianese, che è invece una danza di combattimento, originariamente ballata solo da uomini”.
Manca proprio Napoli. Perché?
“Proporrò anche delle tarantelle, ma Napoli merita un discorso a parte. Della tarantella ‘cumbricata’, ossia complicata, delle origini, è rimasto ben poco. Questa danza di origine orgiastica, ispirata al culto di Dioniso e ballata con i suoi tamburi sordi e dai ritmi ipnotici soprattutto a Mergellina e Piedigrotta, viene messa al bando all’epoca del dominio spagnolo. In barba al viceré, alcune comunità, sopratutto di marinai, continuano a danzarla sulla spiaggia, da Mergellina fino a Santa Lucia, ma la tarantella, epurata dei suoi tratti più veraci, ha ormai fatto il suo ingresso a corte. E per molti anni dal Palazzo non ne è più uscita”.
In cosa si differenzia la tarantella popolare da quella ballata a corte?
“A corte la musica è quella gentile dei madrigali, del minuetto. E anche la tarantella si addolcisce. Del ballo popolare non restano che poche tracce, come la mano pudica dell’uomo che si accosta a quella della donna. E che segna una distanza, mentre gli sguardi si abbassano. Anche se dopo il ‘600 la tarantella napoletana cambierà ulteriormente, come i balli un po’ spinti raccontati da De Blasio nella Napoli dei Quartieri Spagnoli dell’800, è davvero singolare che la nostra città conosca così poco la sua tradizione. Questo vale anche per le tammurriate. La città, a differenza della provincia, conosce poco e male i suoi balli. E’ invece nei paesi di provincia che la tradizione è riuscita a tramandarsi e ad arrivare quasi intatta ai nostri giorni. E’ lì che ancora oggi i vecchi insegnano ai giovani e tutti insieme ballano e si divertono nelle feste di piazza”.
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Un antidoto per i territori in alcuni casi difficili?
“Sì, anche. La danza in alcuni casi rappresenta il meglio di un territorio. Penso alla giuglianese, la tammurriata per l’appunto di Giugliano, così bella a travolgente da far quasi dimenticare le ecoballe”.
Non le sembra un controsenso proporre un insegnamento di stampo accademico di una materia popolare?
“Certo. E’ un po’ come spiegare il bacio. Hai voglia a dire avvicinati, schiudi le labbra… poi il primo bacio è tutta un’altra cosa. La mia speranza è far nascere un interesse, magari una passione per queste tradizioni e poi andare tutti insieme, gli alunni ed io, a ballare nei luoghi deputati, ossia nelle belle feste di piazza che la nostra terra offre, sperimentando per davvero la vera esperienza comunitaria e la dimensione collettiva della danza”.