Fino a domani o al più tardi al 2 maggio, giorno dell’assemblea di Alitalia-Sai che dovrebbe approvare la richiesta di amministrazione straordinaria, sulla carta soci e creditori potrebbero ancora ripensarci. Avallando una ennesima ricapitalizzazione o finanziando un nuovo piano di ristrutturazione che li mantenga a bordo della compagnia. Assai improbabile, viste le prese di posizione dei giorni passati: da Intesa Sanpaolo a UniCredit, passando per gli altri creditori convertiti in passato (Mps e Popolare Sondrio) e ai soci di capitale – Atlantia, Poste o quel che resta della stagione dei capitani coraggiosi – sono tutti pronti a scendere una volta per tutte da un aeroplano costoso e insicuro. Dunque, domani in assemblea i soci dovrebbero formalizzare la richiesta del commissariamento, che azzererà il capitale e affiderà i debiti ai commissari, con scarsissima probabilità di rientro. In totale, significa bruciare in un colpo solo ben oltre i due miliardi, equamente ripartiti tra soci arabi e italiani. I dipendenti di Alitalia (circa 12 mila) hanno rigettato con un referendum il piano di risanamento della compagnia. Piano varato dagli azionisti, con il consenso delle banche creditrici, dei sindacati e del governo che si era mosso, tra l’altro, per stabilire una garanzia pubblica di 300 milioni al progetto di rilancio della compagnia; oltre, ovviamente, agli ammortizzatori sociali per i dipendenti che si sarebbero trovati a perdere il lavoro.
Intanto spunta un piano B: l’azienda potrebbe rivedere il piano dei tagli, ridimensionando i sacrifici chiesti ai lavoratori. In cambio di un aumento, fino a 600 milioni, del nuovo capitale chiesto ai soci. In questo caso la garanzia pubblica potrebbe essere rialzata