La disoccupata Lo stesso consiglio gliel’avevano dato in tanti e alla fine Giovanna ci ha persino creduto: «Fai in modo che la tua disabilità venga riconosciuta e così ti sarà più facile trovare un lavoro». Per Giovanna Galasso la doccia fredda è arrivata poco dopo, da quando la Asl le ha firmato il certificato e l’ha inserita nelle liste dei lavoratori speciali è iniziato il calvario della disoccupazione. «Da cinque anni sono a casa, perché nessun’azienda è disposta ad assumermi. Il motivo è semplice, anche se poi nessuno ha il coraggio di dirlo espressamente: tutti si spaventano che il mio problema è legato alla depressione. La mia patologia è perfettamente sotto controllo, curata costantemente. Insomma, non sono matta. Ma chissà perché i disabili psichici fanno paura».
Giovanna Galasso ha 50 anni e vive ad Afragola, in provincia di Napoli. I primi problemi di salute li ha avuti già nel 2001 e ha iniziato subito le terapie. Fino al 2013 ha lavorato senza problemi, persino con incarichi importanti nella segreteria del sindaco della sua città. Fino a quel momento, almeno ufficialmente, non era una disabile. E infatti non ci sono stati problemi. «Con l’inserimento nelle liste dei lavoratori disabili sono iniziati i guai. Tutte le aziende che mi contattato, o quelle a cui mando il curriculum, pretendono di sapere quale sia la patologia. Nei documenti della Asl, infatti, non il tipo di disabilità non è specificata nel dettaglio ma prima di assumerti tutti chiedono di sapere anche ciò che no dovrebbero. E puntualmente, quando racconto della mia sindrome, saltano fuori le scuse più disparate, improvvisamente gli interlocutori spariscono e io mi ritrovo al solito punto. Pensano che un disabile mentale sia un pazzo o un pericolo pubblico. Ma io sono perfettamente in grado di lavorare. E le precedenti esperienze lo dimostrano». Giovanna Galasso, infatti, ha lavorato in diversi settori per parecchi anni. In un multinazionale della moda e in società di marketing tra Napoli, Parma, Roma e Milano. Con il marchio della disabilità tutto è diventato più difficile. «Neppure mi concedono un appuntamento per un colloquio. Ci chiamano categoria protetta, ma siamo solo più penalizzati degli altri».
Fonte: La Stampa