A Cerignola, l’eredità di Di Vittorio si tocca con mano. Non è nei ritratti e nei “santini” del sindacalista pugliese che fino all’altroieri abbondavano nelle case dei cerignolani. Da una parte la Madonna di Ripalta, affianco Peppino Di Vittorio. Basta uscire un po’ fuori dei confini del Comune foggiano ed ecco che il senso di giustizia e di equità sociale predicato, praticato e perseguito da quello che sarà il segretario più amato della Cgil, alimenta nuove realtà produttive. A ridosso della statale 16, poco fuori Cerignola, c’è la cooperativa sociale Pietra di Scarto che produce olive e pomodori su terreni confiscati alle mafie. La bandiera di Libera sventola sul capannone in cemento armato tirato su agli inizi degli anni Novanta dal clan Piarulli-Ferraro. Utilizzato come base per il traffico di stupefacenti, oggi ospita il laboratorio di legalità intitolato a Francesco Marcone. La cooperativa ha dato vita a un progetto di produzione equa e solidale del pomodoro. No al caporalato, no allo sfruttamento delle persone, per il presidente Pietro Fragasso “un’altra filiera del pomodoro, dove tutti abbiano pari dignità, è possibile”.
Il nuovo caporalato
La legalità, piaccia o no, ha un costo. E se la bottiglia di passata costa troppo poco, la parte che manca la sta pagando qualcun altro. A fare i conti è Angelo Santoro della coopertiva barese Semi di vita, stretto collaboratore di Pietra di Scarto, che individua però anche una via d’uscita.
Rispetto ai tempi di Di Vittorio, il nuovo caporalato si presenta con caratteristiche molto diverse. “Prima era il braccio del padrone – continua Fragasso – oggi è uno degli ingranaggi della criminalità organizzata per il controllo del territorio”. Certo, le intimidazioni non sono mancate. “Nel 2013 ci ritrovammo una scritta: a vinto la mafia, pezzo di merda. Proprio così, senza acca. Rispondemmo: ha perso la maestra, e poi coprimmo tutto con una bella citazione di De André”, racconta Fragasso che annuncia la realizzazione, a breve, di un nuovissimo lavoratorio di trasformazione del cosiddetto oro rosso.
Ma quando non c’è il caporalato, ci sono norme-colabrodo sui contatti di lavoro per gli agricoltori, che consentono a imprenditori senza scrupoli di evadere agevolmente i contributi, se non addirittuta di risparmiare sulle ore effettivamente lavorate. L’allarme parte da Terra Aut, altro bene confiscato alla criminalità cerignolana, affidato alla cooperativa sociale Altereco. Un terreno agricolo di otto ettari circa dove ciliegie e uva si trasformano in dolci marmellate.
Lavoro vero invoca il presidente di Altereco: “Noi cerhiamo di fare ciò che è giusto – dice Vincenzo Pugliese – Svolgiamo principalmente attività di inclusione lavorativa perché questo bene deve tornare alla cittadinanza anche con il lavoro, non solo con il concetto bellissimo che si porta dietro un bene confiscato”.
La battaglia non è finita
Oasi felici, non c’è dubbio. Eppure il fenomeno del caporalato è tutt’altro che scomparso. E, con il suo corollario di violenza, ricatti e abusi, si intreccia in maniera sempre più perversa con quello migratorio, come spiega il sociologo Marcello Colopi, responsabile dello Sportello dell’immigrazione di Cerignola, attivo da giusto un anno.
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2. Dal carcere alla Costituente