“I primi verdetti dei ballottaggi dicono che la Lega conquista Terni, mentre i grillini espugnano Avellino e sono in vantaggio anche a Imola. E l’affluenza registra ancora una volta un forte calo. I primi dati dicono per esempio che a Brindisi rispetto al 2013 manca all’appello l’8,36 per cento degli elettori. E confrontando il dato con quello del 10 giugno balza agli occhi un calo di 20 punti. Calo confermato a Massa dove si passa dal 62,4 del 2013 al 54,9 di ieri. Primi numeri che confermano il dato nazionale della 19, calcolato dal Viminale su 67 comune sui 75 interessati al voto secondo cui aveva votato il 33,38 per cento rispetto al 42,89 per cento del primo turno: meno 9,5. Nel 2013 il dato finale dell’affluenza in questi comuni era stato del 52 per cento. Non va meglio certamente nei comuni siciliani le cui percentuali sono calcolate dalla Regione. L’affluenza alle 19 era del 28,42 per cento con un calo di 14 punti rispetto al 10 giugno. Dati frutto di tracolli nei comuni capoluoghi: meno 18,22 percento a Messina; meno 14,44 a Siracusa: meno 11,70 per cento a Ragusa. Unico comune in controtendenza è Pisa dove gli elettori si confermano: ha votato il 42 per cento rispetto al 43 del primo turno”.
L’esito elettorale del ballottaggio nei comuni ha definitivamente affossato, nel giudizio di Folli, “la speranza, coltivata da certi settori del Pd, di un rovesciamento delle alleanze parlamentari. Un’operazione trasformista in grande stile che dovrebbe spingere i Cinque Stelle, o la maggior parte di essi, ad abbandonare l’intesa di governo con il destrorso Salvini per cercare riparo in un accordo con il centrosinistra. Quanti evocano tale scenario sono soprattutto coloro (i cosiddetti “governisti”) che avrebbero voluto un patto M5S-Pd già nel corso della lunga crisi post 4 marzo. Allora non fu possibile per l’intransigente opposizione di Matteo Renzi. Oggi c’è chi ha cominciato a usare l’argomento di una “emergenza democratica” creata dalla destra leghista per rendere digeribile o addirittura obbligato il rimescolamento di carte. Al momento questa prospettiva sembra soprattutto figlia di una frustrazione più che di un progetto lucido. […] È possibile, beninteso, che l’attuale maggioranza non regga. Ma in quel caso Salvini sembra in grado di trascinare a destra una discreta porzione di elettori a Cinque Stelle, insieme a un segmento significativo dei gruppi parlamentari. E allora, anche ammesso che esista l’intenzione di andare fino in fondo, il cambio delle alleanze sarebbe di ardua realizzazione perché un patto fra il Pd e un M5S allo sbando avrebbe voti insufficienti in Parlamento, specie al Senato. In altre parole, se il Pd vuole rientrare in gioco da protagonista, deve prima adattarsi a una lunga marcia in mezzo alle intemperie. È l’analisi che Renzi dopo la sconfitta di marzo ha imposto al suo partito. Peccato che da allora, complice forse la stagione estiva e le sue tentazioni, non abbia preso il via alcuna seria riflessione sulle cause della sconfitta e sulla strategia volta a risalire la china”.