Di Eleonora Diquattro
Venerdì 15 febbraio si è svolto al cinema Delle Palme di Napoli, un incontro sul clima e proiezione del sequel di “Una scomoda verità” documentario vincitore di un Premio Oscar, che ha contribuito ad assegnare ad Al Gore, ex Vicepresidente degli Stati Uniti d’America, il Premio Nobel per la Pace del 2007.
Quest’appuntamento ha rappresentato il secondo momento di un progetto più ampio: “Clima.Obiettivo 30/50” è partito a dicembre 2018 dal prestigioso Circolo Posillipo con la presentazione del “comitato per l’adattamento e il contrasto al cambiamento climatico”. Marco Merola e Marcello Milone, sono due giornalisti e un architetto-scrittore, Francesco Escalona, hanno deciso di chiamare a raccolta cittadini e scienziati, studenti e ricercatori, chiunque si senta parte attiva, con l’obiettivo di unire le forze del territorio per informare l’opinione pubblica e attori politici sulle urgenze dettate dagli effetti del cambiamento climatico.
In che mondo la “Chiamata Pubblica”organizzata dal comitato che tu rappresenti ha inteso coinvolgere la cittadinanza nel dibattito sul cambiamento climatico? Può essere efficace al fine di creare conoscenza -coscienza critica orizzontale?
Più che una “chiamata pubblica” parlerei di un’opera di familiarizzazione e, in alcuni casi, di informazione vera e propria sul tema del cambiamento climatico e tutte le questioni ad esso connesso. Credo che le coscienze non si smuovano veramente solo per ‘chiamata pubblica’, chiamata alla protesta, generica, senza costrutto. Ma che invece serva una grande opera di alfabetizzazione collettiva sul climate change, indurre le persone a usare parole e concetti giusti e a non farsi confondere dalle tante ‘voci’ provenienti dai media (soprattutto stampa, tv e internet) che sono spesso voci sbagliate o profondamente inesatte. Da giornalista scientifico sono il primo ad inorridire per questo, da cittadino mi sono sentito di scendere in campo.
L’esperimento di Napoli penso sia stato efficacissimo. Oltre a quelli intervenuti al cinema delle Palme abbiamo avuto centinaia di contatti, migliaia di visualizzazioni sui social, ci hanno chiamato da tutta Italia, persino la politica si è mossa. Lentamente ma si è mossa. A breve, per massimizzare l’effetto dell’evento, pubblicheremo il video integrale su un canale YouTube dedicato.
Oggi il tema centrale è anche il “Climate change adaptation ”. Quali sono le strategie e i piani messi in campo in Italia?
Per ora sono state realizzate poche concrete azioni sul territorio. Legate principalmente alla forestazione urbana, cioè l’aumento delle aree verdi in città. Un ottimo inizio, per carità, ma non certo qualcosa che possa ancora sensibilmente impattare positivamente sulla vita delle persone nell’ottica del contrasto e adattamento al cambiamento climatico. Tanto deve essere fatto per rendere territori e città realmente resilienti. A livello italiano possiamo dire che Milano ha progetti ambiziosi per i prossimi anni e nel solco di quella esperienza si stanno piano piano innestando anche Genova e Torino. Poi Napoli, spereremmo… Il problema, come spesso accade nel nostro paese, è la mancanza di una regia unica. le linee guide per l’adattamento ci sono ma per ora sono contenute in un piano che ancora non ha avuto l’avallo della politica. Basta andare sul sito del Ministero dell’ambiente e cercare con la parola chiave “adattamento”, è tutto lì.
Il “cammino” verso “l’adattamento” alle conseguenze dei cambiamenti climatici, nei territori, nelle economie e nella società non deve essere costellato solo di allarmismi, a parer suo, ma anche di storie di buone pratiche, perché?
Come dicevo in avvio, perché le buone pratiche sono esempi di chi si è rimboccato le maniche e non attende che i grandi del mondo decidano veramente di ridurre al minimo le emissioni di CO2. Prima che questo avvenga potrebbe essere troppo tardi per il mondo, lo sostiene ormai larga parte della ricerca scientifica. E allora? Chi si sarà adattato sarà una spanna avanti agli altri. E poi adattamento vuol dire pensare in maniera costruttiva, non rassegnarsi all’apocalisse, che è lo scenario puntualmente descritto nei servizi giornalistici. Con la rassegnazione non si fanno cose. Con la speranza si…
Nell’epoca dell’Antropocene, da divulgare e giornalista scientifico, quali sono secondo lei i modelli comunicativi più efficaci per ingaggiare una relazione con i diversi stakeholders interessati?
M.M: Ancora una volta, costruttività, propositività, design di nuovi scenari caratterizzati da opportunità piuttosto che da perdite, queste sono le cose che gli stakeholders vogliono sentire. Tutto questo è possibile, se vengono messe in circolo le conoscenze, le tecnologie, le persone, si cresce tutti insieme e anche l’economia diventa una vera e propria ‘adaptation economy’. Se non cadono i protezionismi, talvolta anche solo intellettuali, tra paese e paese, tutto questo purtroppo non sarà possibile. Vediamo se, con il climate change che spinge alle porte, questo processo possa conoscere un’accelerazione.