Economia e Finanza
Rating Italia. Il debito italiano evita il downgrade di Fitch. Temuto alla vigilia, esorcizzato nelle
dichiarazioni («diranno la loro, e noi diremo la nostra», spiegava ieri mattina il sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti), il giudizio arrivato in serata mantiene ai nostri titoli di Stato la tripla B con outlook negativo, senza aggiungere il «meno» che li avrebbe schiacciati all’ultimo scalino degli investimenti considerati «sicuri». L’outlook, cioè la previsione a medio e lungo termine, resta però negativo. Anche perché «le differenze ideologiche tra Movimento Cinque Stelle e Lega aumenteranno le tensioni nella coalizione di governo» con la «possibilità di elezioni anticipate» per le quali l’agenzia di rating prevede un «aumento delle probabilità dalla seconda metà dell’anno». «Le valutazioni di Fitch confermano la solidità economica del nostro Paese», commenta a caldo la presidenza del consiglio. Aggiungendo che il giudizio «risente, come era prevedibile, del rallentamento economico transitorio che sta investendo tutto il continente europeo». Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, sottolinea come «le previsioni dell’Unione europea indicano un rallentamento per tutte le grandi economie, Germania, Francia e Italia. Un rallentamento che per l’Italia significa recessione, ma la misura del rallentamento è simile».
Opere pubbliche. Il governo rompe gli indugi e decide di entrare con misure concrete e immediate nella partita del rilancio degli investimenti pubblici. L’obiettivo è cominciare a sbloccare i 150 miliardi di risorse (compresi i fondi Ue) già destinate in prevalenza alle infrastrutture e mai spese. Per farlo varerà la prossima settimana o, al più tardi quella successiva, un decreto legge che avvierà la riforma del codice degli appalti, bloccando alcune norme che creano maggiore paralisi nella pubblica amministrazione, e consentirà l’uso a tappeto di commissari ad acta in tutti i casi in cui si presentino ostacoli con l’iter dell’opera. La novità più forte di queste ore è proprio l’accordo politico fra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e i due vicepremier Di Maio e Salvini per approvare in tempi stretti il decreto «cantieri veloci», come lo aveva battezzato il leader leghista rilanciando questa ipotesi per primo una settimana fa. Il passante di Bologna, la bretella Campogalliano-Sassuolo e l’autostrada regionale Cispadana – sono impantanate nella burocrazia. Cantieri chiusi, i lavori non partono. I tre progetti valgono 2 miliardi e mezzo e sono in gran parte già cantierabili. Ma non si muove foglia. Ecco l’Italia delle opere bloccate. Seicento, per un valore di circa 36 miliardi di euro, quelle già censite dall’Ance, l’associazione dei costruttori, che ha appena lanciato una grande iniziativa nazionale per segnalare, anche visivamente, i cantieri fermi o mai cominciati. Al primo posto della lista c’è naturalmente la Tav Torino-Lione, ma anche il tratto tra Brescia e Padova, E poi, oltre a strade e ferrovie, ci sono decine, centinaia di opere diverse. Ferme per le stesse ragioni. Intanto, all’indomani dell’approvazione alla Camera della mozione gialloverde che chiede al governo di «ridiscutere integralmente» il progetto della Tav. La decisione definitiva arriverà nella prima settimana di marzo. Toninelli per non arrivare allo scontro frontale con la Lega, ammorbidisce i toni: «Non sto dicendo che l’opera non serve in termini assoluti, sto dicendo che non è al primo posto nell’ordine delle priorità». E dunque, come suggerisce il viceministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi, «se discutiamo ancora per un paio di mesi sul tunnel non è un problema».
Politica Interna
Formigoni in carcere. Mentre i carabinieri, ieri mattina, lo cercavano a casa, lui era già uscito per presentarsi al carcere di Bollate, dove infatti ora si trova rinchiuso. Sembra sereno, gira tranquillo per i corridoi, stringe mani. Con sé un rosario e qualche libro. La prima giornata in carcere l’ex potentissimo governatore della Lombardia l’ha trascorsa sbrigando le incombenze di routine come un detenuto comune, che però tanto comune non potrà mai esserlo. Formigoni si è presentato spontaneamente all’ingresso del carcere intorno alle io di ieri mattina. Chi lo ha incrociato dentro, ha notato un Formigoni, che tra poco più di un mese compirà 72 anni, comprensibilmente spaesato, rigido, consapevole degli sguardi curiosi dei detenuti e del personale carcerario. Prima di accompagnare Formigoni in carcere, il suo storico legale, l’avvocato Mario Brusa, è andato in Procura generale per chiedere la sospensione dell’esecuzione e consentirgli, in quanto ha più di 70 anni, di scontare la pena in detenzione domiciliare. Come ultimo atto prima di varcare l’ingresso, poi, c’è un momento di raccoglimento, il Padre nostro recitato insieme all’avvocato che lo accompagna su una Bmw grigia che entra fino in cortile per evitare l’assedio delle telecamere. Gli ultimi minuti li racconta il suo difensore: «Certo che gli pesa quello che sta accadendo. Fino all’ultimo ha sperato che finisse in un altro modo. Ma è anche una persona razionale, molto dignitosa. Ha ancora voglia di combattere». Anna Formigoni, la sorella dell’ex governatore, era sicura che avrebbe recitato una preghiera prima di entrare in carcere: «Mio fratello è molto religioso. Questa vicenda per lui è durissima. In questi anni è stato massacrato dai giornali che hanno dipinto una persona per me irriconoscibile (…) ».
Renzi. Matteo Renzi torna a Torino dopo che lunedì aveva cancellato all’ultimo la tappa del tour del volume «Un’altra strada». Sono passati solo quattro giorni, ma sufficienti a scuotere dalle fondamenta il mondo renziano. È successo che a 450 chilometri dal Lingotto, in una villetta dall’intonaco rosa pallido di Rignano sull’Arno, ci sono due ingombranti genitori finiti ai domiciliari per un’oscura vicenda di cooperative fallite, contributi non pagati e fatturazioni sospette. La Procura ha chiesto e ottenuto gli arresti di babbo Tiziano e mamma Laura per il timore di inquinamento delle prove e reiterazione dei reati. «Provvedimento assurdo», tuonò a caldo l’ex premier. Che adesso prova a cavalcare la vicenda giudiziaria per tornare in campo con più forza. Così il messaggio principale della serata è quel: «Noi non molliamo mai» che l’ex segretario grida alla platea dopo aver rivendicato con un grido: «Sono fiero e orgoglioso di esser figlio di Tiziano Renzi e Laura Bovoli perché non ho niente di cui vergognarmi, perché conosco i fatti». Ma anche messaggio politico: «Noi non siamo quelli che scappano dai processi, come fanno altri. Noi chiediamo di andare in quell’aula e lì vedremo chi ha ragione e chi ha torto». Nel discorso si coglie lo sforzo di evitare gli attacchi ai giudici: «Abbiamo fiducia nella magistratura». Anche se «non riesco a vivere tranquillo perché non puoi accettare che i tuoi genitori soffrano per colpa tua».
Politica Estera
Concilio Vaticano. Si comincia a fare chiarezza, al summit sulla protezione dei minori, a proposito dell’espressione «tolleranza zero», sull’obbligo di denuncia e sulle procedure che devono portare alla rimozione non solo di chi commette gli atti, ma anche di chi non ha vigilato abbastanza. E padre Federico Lombardi ha detto infatti di avere «difficoltà a usare e lasciarsi catturare da questa espressione», perché «si riferisce solo a una parte del problema. Tutta la questione dell’accompagnamento delle vittime o della prevenzione, per esempio, non è contemplata. Tolleranza zero, dunque, indica un modo di intervenire sui criminali, ma quando parlo di protezione dei minori – ha rimarcato -, parlo anche di molte altre cose». Intanto, Francesco interviene alla fine della seconda giornata dell’incontro «sulla protezione dei minori nella Chiesa». Davanti a cardinali e vescovi ha parlato finalmente una donna, la professoressa Linda Ghisoni, canonista e sottosegretario del dicastero vaticano per i Laici, sposata e madre di due figlie. Linda Ghisoni parla di «agire insieme», suggerisce «consigli» e «commissioni» e «un modello di una sana collaborazione di laici, religiosi, chierici». Alla fine, le parole di Francesco: «Non si tratta di dare più funzioni alla donna nella Chiesa, sì, questo è buono, ma così non si risolve il problema, si tratta di integrare la donna come figura della Chiesa nel nostro pensiero».
Venezuela. La «battaglia dei concerti» di Cucuta è stata vinta dal megaevento Live Aid Venezuela organizzato da Richard Branson e dall’opposizione, con decine di migliaia di persone a seguire i big della musica latina, mentre dall’altra parte del ponte poche centinaia di spettatori, per lo più militari e membri dei comitati bolivariani seguivano il contro-show promosso dal governo di Maduro. Risultato schiacciante, ma tutti, da una parte e dall’altra, sanno che quella di ieri era solo la vigilia; la vera partita si gioca oggi, per un D-day che potrebbe segnare l’inizio della fine del chavismo o l’ennesimo capitolo di una crisi sempre più profonda. È il giorno delle sfida. La musica contro i fucili. Le note di canzoni che tutti conoscono a memoria contro i soldati in assetto di guerra. Una sfida che scorre lungo il confine tra Colombia e Venezuela, sulle due sponde del Rio Táchira. Su questo lato Richard Branson, il magnate britannico della Virgin, ha chiamato a raccolta le star del pop latino per un concerto di solidarietà con il popolo venezuelano. Si chiama Venezuela Aid Live. Dall’altra parte del confine, Nicolás Maduro ha organizzato la sua risposta. Anche qui un concerto. Ma contro il tentativo di invadere il Venezuela con la scusa di far entrare le 200 tonnellate di cibo e medicine ammassate in un hangar alla periferia di Cúcuta. Lo ha chiamato Hands Off Venezuela, giù le mani dal Venezuela. Oggi un fiume umano si riverserà verso il ponte Las Tienditas. Arriveranno in 300 mila per far passare cibo e medicine in Venezuela. La prima crepa nel muro armato di Maduro. Una prova decisiva per vedere come reagiranno i soldati alla frontiera. L’ex capo dell’intelligence di Hugo Chávez, ultima importante defezione, li ha esortati a non “sparare sul popolo”.