C’è un libro pubblicato l’anno scorso da Sperling & Kupfer che fa molto bene leggerlo. Se non lo avete letto dovete farlo. Se c’è un argomento di stretta attualità, è proprio quello trattato in questo testo che ho divorato in questi giorni. Si tratta di «Fermate le macchine! Come ci stanno rubando il lavoro, la salute e perfino l’anima», l’autore è Francesco Borgonovo, giornalista e saggista, vicedirettore del quotidiano La Verità.
Il testo è una forte critica della rivoluzione digitale, un pressante allarme quello di Borgonovo. Bisogna preoccuparsi oppure si tratta soltanto di elucubrazioni giornalistiche? Borgonovo sta esagerando? Ha portato alle estreme conseguenze il problema? Forse si, forse no.
Per quanto mi riguarda anche scrivendo questa recensione ho utilizzato il pc e quindi tutto quello che appartiene, alla rivoluzione digitale. Lo racconto sempre parlando con gli amici, che cosa è stato per me, l’invenzione del computer e tutto quello che ruota intorno. Non posso negare che è stata straordinaria «la comodità», di poter scrivere un articolo, inviarlo a un giornale velocemente e poi condividerlo con tanta gente.
E proprio nella prefazione, Mario Giordano segnala l’aspetto della comodità. La rivoluzione digitale «ha successo perchè è comoda. Ci risolve un sacco di problemi. Ci fa credere che tutto sia facile, a portata di mano,accessibile, perfino gratis, nascondendoci accuratamente i costi che tutto ciò comporta». Anche Giordano è preoccupato dello strapotere della tecnologia: «io non vorrei vivere in un mondo senza tecnologia, di cui sono per altro un abbondante consumatore. Ma ho l’impressione che ormai il rapporto si stia invertendo: non sono più gli uomini a usare la tecnologia, ma è la tecnologia che usa gli uomini».
Borgonovo ad ogni capitolo del libro si affida, riportando le loro tesi, a una serie infinita di più o meno noti studiosi, sociologi, psicologi, professori, scienziati. Nel 1° capitolo (la quarta rivoluzione industriale) presenta un futuro inquietante. Dopo aver fatto riferimento accenna alle prime rivoluzioni industriali, citando il libro di Klaus Schwab, “La quarta rivoluzione industriale” Franco Angeli), descrive questa rivoluzione che si caratterizza, «per un uso diffuso di internet, a cui si ha accesso con sempre maggiore frequenza attraverso dispositivi mobili, sempre più piccoli ma più potenti ed economici, e per il ricorso all’intelligenza artificiale e a forme di apprendimento automatico».
I cantori di questa rivoluzione proliferano ovunque, si va dall’area progressista al colosso della Silicon Valley. Tutti questi «tecnoentusiasti», ci dicono che «il robot in fabbrica non deve far paura. Anche quando distruggono posti di lavoro». Per questi signori, «le nuove tecnologie aumentano la produttività del lavoro, e quindi i salari, facendo crescere di conseguenza la domanda di servizi».
Credere che i computer sostituiranno l’uomo nelle fabbriche e negli uffici, «rappresenta una concezione ingenua e parziale di come funziona il mercato del lavoro». Anche se a denti stretti devono ammettere che probabilmente bisognerà spostarsi in giro per il globo, «svolgendo occupazioni, di cui, ora, faticate persino a pronunciare il nome».
Il futuro che si sta preparando è abbastanza inquietante, si parla di «intelligenze artificiali», che dovrebbero sostituire quelle umane. Milioni di lavoratori in tutto il mondo dovrebbero inventarsi un nuovo ruolo e una nuova funzione.
Sostanzialmente, «troverà lavoro chi è disposto a spostarsi, chi accumula master e chi si diletta a smanettare sulle tastiere. Ma tutti gli altri? Come faranno quelli che non vogliono lasciare casa propria, o che non possono permettersi un certo tipo di istruzione o, semplicemente, non sono portati per svolgere lavori come il programmatore o l’analista tecnologico? Facile: tutti costoro verranno spazzati via. Si creerà una ristretta élite di specialisti molto pagati (magari per un breve periodo) e un esercito di lavoratori inutili e sostituibili alla bisogna, sottopagati e sempre a rischio. Ne sanno qualcosa gli impiegati di Amazon […]».
Anche se l’azienda non è crisi, anzi il suo fondatore, diventato il più ricco del mondo, sta assumendo e dalle statistiche che circolano in giro, si sostiene che Amazon crea posti di lavoro.
Tuttavia per Borgonovo siamo di fronte a un’evidenza: «ci stiamo trasformando in una jobless society, una ‘società senza lavoro’. L’innovazione tecnologica e la robotizzazione ci stanno conducendo verso quello che lo studioso americano Martin Ford ha definito un regime di ‘piena disoccupazione’». Pertanto secondo Borgonovo, «le macchine non si limiteranno a cancellare la fatica, ma cancelleranno pure il lavoro: benvenuti nella quarta rivoluzione industriale». A questo punto i guru della Silicon Valley e una bella fetta dell’intellighenzia progressista spingono verso l’innovazione e non di fermare la tecnologia. Fino a cancellare completamente il lavoro. «Come si manterranno allora le persone? Semplice: con un sussidio statale, un reddito di cittadinanza, magari finanziato proprio tassando i robot, come ha proposto la divinità digitale chiamata Bill Gates».
Borgonovo, ha pronta la citazione del sociologo Domenico De Masi, che ha pubblicato un saggio sull’argomento, «Lavorare gratis, lavorare tutti. Perché il futuro è dei disoccupati» (Rizzoli). I disoccupati potranno «organizzarsi attraverso il web, al fine di trovare l’occupazione a loro più gradita, senza il cruccio di dover portare a casa uno stipendio, poiché saranno mantenuti da sussidi pubblici». Si paventa una società come nell’antica Grecia dove i filosofi si dedicavano all’«ozio creativo».
Nel 2° capitolo (che fine ha fatto il nostro futuro?), Borgonovo, affronta la questione delle conseguenze dello sviluppo sfrenato della tecnologia. Ci stiamo abituando allo strapotere della tecnica e pertanto gli effetti negativi di questo dominio troppe volte non riusciamo a coglierli. Ecco perché Borgonovo propone di giudicare il nostro presente da uomini del passato, che non sono uomini qualunque, ma dei veri geni, ci tiene a precisare. come Emile Zola (1840-1902), Jules Verne (1828-1905), H.G. Wells (1866-1946), George Bernanos (1888-1948). «Questi monumenti della letteratura occidentale dedicarono profonde riflessioni al rapporto dell’umanità con la tecnologia, e scrissero romanzi, racconti e saggi per mettere in guardia i posteri sugli enormi rischi legati alla creazione del ‘mondo delle macchine’». Avevano ragione, ma non sono stati ascoltati come capita spesso. Il caso più eclatante è quello dello scrittore francese Jules Verne, che comunemente viene considerato «il cantore entusiasta della scienza e del progresso, con il suo nome che evoca mirabolanti avventure a bordo di macchine strabilianti». Eppure questo letterato, aveva scritto un saggio che prefigura il nostro presente, dove «le nuove invenzioni hanno portato comodità ed efficienza, ma hanno anche contribuito a disumanizzare l’uomo». In pratica lo scrittore francese aveva predetto l’«era del neutro, dell’individuo disponibile, più simile a una macchina che a un essere umano». Alle stesse conclusioni era giunto Emile Zola, dove in un suo romanzo, racconta di una grande magazzino che manda in rovina i piccoli commercianti locali, «funzione oggi assolta da Amazon», scrive Borgonovo.
Altro romanzo significativo è quello di H.G. Wells, dove tratteggia certe compagnie dominanti a Londra, dove «la scienza ha compiuto passi da gigante, in compenso però le disuguaglianze sociali sono aumentate a dismisura. E ciò dimostra – scrive Borgonovo – che il problema non è la macchina in sé, ma il modo in cui viene gestita». Infine Bernanos è stato quello a descrivere meglio di tutti l’abominevole connubio fra capitalismo rapace e tecnologia rampante, raccolte in un volume intitolato «Lo spirito europeo e il mondo delle macchine», (Feltrinelli).
«La conquista del mondo da parte della mostruosa alleanza tra la speculazione e la macchina un giorno apparirà simile non solo alle invasioni di Gengis Khan o di Tamerlano ma alle grandi invasioni così mal conosciute della preistoria». Così scrive va Bernanos. Il dramma vero per lo scrittore era proprio quello della disumanizzazione e della «trasformazione dell’uomo in un robot: il male non sta nelle macchine, ma sta e starà nell’uomo che la civiltà delle macchine va formando. La macchina despiritualizza l’uomo mentre ne accresce mostruosamente il potere». Attenzione per Borgonovo non stiamo parlando «di reazionari spaventati dal radioso avvenire, ma di pensatori acuminati che hanno fiutato prima di tutti il pericolo». Infatti Bernanos scriveva: «non nego che le macchine siano capaci di rendere più facile la vita. Niente però sta a dimostrare che la possano rendere più felice». Verissimo, soprattutto nel nostro mondo di oggi, in cui «l’uomo ha fatto la macchina e la macchina è diventata uomo, per una specie di inversione diabolica».
Allora continuando con le riflessioni sulle nuove logiche portate dalla rivoluzione digitale, Borgonovo sintetizza bene quello che è successo.
«Si è cercato – scrive Borgonovo – di creare individui intercambiabili, privi di identità e di cultura, disposti a inghiottire lo stesso cibo, a indossare i medesimi abiti. Uomini e donne disponibili, pronti a sostenere turni di lavoro, appunto, disumani a fronte di stipendi sempre più bassi. Essere viventi controllati e controllabili». E questo secondo il giornalista, è la stessa logica che sta dietro la migrazione di massa. «Gli immigrati, che dall’Africa e dall’Asia giungono in Occidente, servono come esercito di lavoratori di riserva, pronti a sostituire gli europei e gli americani qualora ce ne fosse la necessità, possibilmente con stipendi bassissimi, in modo da livellare i salari di tutti. Ci viene detto che le frontiere non esistono, che le differenze culturali sono un’invenzione, che è bello mescolarsi ed essere fluidi. Per quale motivo?» Si chiede Borgonovo. «Per rendere tutti neutri. Come le macchine. Che non hanno né cultura né religione né sesso».
E qui il vicedirettore de La Verità, accenna a papa Francesco, che ha parlato di questi temi. Parlando ai membri della Pontificia accademia per la vita, ha rilevato che oggi è necessaria «una rinnovata cultura dell’identità e della differenza». Ecco la parolina che farà rizzare i capelli a molti: «differenza». Tra uomo e donna, tra maschio e femmina, sostiene il papa, c’è una differenza che va preservata. «L’utopia del neutro rimuove a un tempo sia la dignità umana della costituzione sessualmente differente, sia la qualità personale della trasmissione generativa della vita». E’ importante per Borgonovo che il pontefice abbia attirato l’attenzione sul tema della neutralità.
«Quella del neutro è un’utopia pericolosa, che mira a creare individui intercambiabili, facilmente manipolabili, sempre disponibili e malleabili. Non uomini compiuti, ma esseri che hanno molto in comune con i robot». Papa Francesco lo ha detto con estrema chiarezza: l’utopia del neutro è l’ultima frontiera prima dell’annichilimento dell’essere umano.
Così potremmo arrivare a quello che sosteneva il filosofo tedesco Gunther Anders in un corposo saggio che «l’uomo è antiquato», perchè viviamo nel mondo della tecnica, ormai diventata soggetto della storia.
Borgonovo accenna a diversi studi, tra questi, due studiosi dell’Università di Oxford nel 2013, hanno realizzato una ricerca intitolata, il futuro dell’occupazione, nel giro di vent’anni, nei soli Stati Uniti il 47% degli impieghi potrebbe essere affidato a «macchine intelligenti». E qui da una citazione all’altra si scopre che l’automazione rimpiazzerà i lavoratori, pertanto cambia la natura del lavoro stesso. Si fa l’esempio dei camionisti che secondo McKinsey nei prossimi otto anni, un terzo di tutti i camion su strada si guideranno da soli. Molti lavoratori di oggi dovrà presto temere la minaccia posta dai lavoratori artificiali e dagli intelletti sintetici.
Qualcuno dice che servono sempre più nuove competenze, «ma come si fa a tenere il passo con computer che, in ventiquattr’ore, immagazzinano più dati di quanti noi possiamo eleborarne in una vita intera?». Nel frattempo l’ecatombe lavorativa si avvicina sempre più. Borgonovo citando Shelly Palmer, prova a prevedere i cinque lavori che in futuro i robot si prenderanno. I primi a perdere il lavoro saranno i quadri intermedi, poi ci sono i venditori. Commessi, negozianti, addetti alle vendite. Poi impieghi affini come i camerieri e i baristi. Un altro settore su cui si abbatterà la robotizzazione secondo Palmer, sarà quello dei giornalisti, anche televisivi, che potranno essere rimpiazzati da algoritmi che selezionano notizie o addirittura da annunciatori catodici. Altro lavoro che scompare è quello dei contabili, tutti coloro che si occupano di amministrazione, nelle banche come negli uffici. Scompaiono anche i medici, secondo Palmer. Naturalmente non mancano gli esempi.
Nonostante tutto questo la campagna a favore della robotizzazione è costante, per i media è foriera di enormi progressi e splendide novità. Addirittura i robot hanno marciato su Roma; si è svolta nella capitale una vera e propria full immersion nel mondo della robotica con laboratori, esposizioni, conferenze, tavole rotonde e soprattutto gare.
Su questo tema per il giornalista de La Verità, bisognerebbe ascoltare Nicholas Carr, uno dei maggiori esperti di tecnologia del pianeta, autore di “Internet ci rende stupidi”, bestseller mondiale pubblicato in Italia da Raffaello Cortina, dove si parla dei rischi legati alla crescente automazione a cui ci stiamo affidando.
Per Carr invece di elevarci a lavori più interessanti ci stiamo trasformando in semplici “operatori informatici”. Dipendiamo sempre più da un software e dalle sue strutture. In tutto questo c’è il rischio di essere manipolati e di diventare passivi. Sono interessanti le riflessioni di Carr su internet: in pratica ci rende più facile raccogliere informazioni, ma nello stesso tempo ci rende difficile sviluppare la conoscenza, che comporta la sintesi di informazioni, che a sua volta richiede attenzione, riflessione, contemplazione.
Negli altri capitoli Borgonovo affronta le questioni che riguardano i grandi colossi della rivoluzione digitale come Amazon, Google, Apple, questi moloch miliardari, sono i nuovi feudatari della rivoluzione in atto.
Interessanti da leggere sono le considerazioni sull’invasione digitale a scuola.
Il libro ricorda Valeria Fedeli, l’ex ministro dell’Istruzione, che consente l’introduzione sui banchi scolastici dello smartphone e dei tablet. Con tanta forza e ironia il giornalista scrive: «Non basta che i dispositivi elettronici assorbano costantemente occhi e menti dei ragazzi (compresi i bambini della scuola primaria) nell’arco della giornata. No, bisogna che la schiavitù digitale prosegua anche in classe». Sono numerosi gli esperti che hanno elencato gli esorbitanti danni causati dagli smartphone e dai tablet. Viene da chiedersi se i luminari del ministero ne abbiano tenuto conto. Praticamente nel mondo l’uso dei dispositivi tecnologici sono vietati, in Italia in controtendenza si ammettono, anzi si incentivano per tutte le classi. Una decisione incomprensibile dal punto di vista pedagogico per il pedagogista Daniele Novara. E’ difficile non pensare al business enorme che sta dietro a tutto questo. «Si introduce nelle classi uno strumento che oggi rappresenta un elemento di inquietudine per bambini e ragazzi». Come si fa a controllare qualcosa che uno si porta in tasca o si mette sotto il cuscino?
Il professore Novara è estremamente critico sullo smartphone come strumento didattico, è come dare l’alcol ai bimbi di sei anni, così imparano a gestirlo. Novara non è il solo a mettere in guardia sul digitale c’è anche Manfred Spitzer, medico e psichiatra, celebre per aver scritto il libro “Demenza digitale”, pubblicato in Italia da Corbaccio, ha avuto già quattro edizioni e soprattutto ha avuto il merito di aprire gli occhi sugli effetti collaterali della rivoluzione digitale. Spitzer ha spiegato con grande chiarezza perché «internet ci rende stupidi». Addirittura il medico, direttore del Centro per le neuroscienze e l’apprendimento dell’università di Ulm, paragona la nostra relazione con la tecnologia digitale a quella che abbiamo con le droghe. I media digitale danno dipendenza e danneggiano lo sviluppo del cervello dei bambini e negli adolescenti come le droghe. Per il professore gli smartphone causano depressione e insoddisfazione, sono «le patologie delle società civilizzate». Pertanto occorre proteggere i bambini e gli adolescenti dall’uso intenso del digitale. Occorre abituare i bambini al piacere della lettura, se non lo si abitua a questo, lui sceglierà scelte più facili come lo smartphone.
Ci sarebbero altri aspetti interessanti che vengono affrontati nel libro come la cultura del narcisismo incrementata dalla connessione al web. Lo sottolinea Pietropolli Charmet. Tanti ragazzi hanno perso il legame con la natura, proprio a causa dell’uso della tecnologia digitale. Lo ha allontanato dall’ambiente, dagli alberi, dal verde. E’ fondamentale ritornare alla dimensione selvatica per l’uomo. Borgonovo fa riferimento alla grande importanza per i bambini del «gioco brado», del gioco spontaneo, le attività programmate, strutturate e sorvegliate dagli adulti non fanno bene.
Concludo con qualche riflessione che Borgonovo, ha fatto a «Letture.org», che gli chiedeva se il suo libro poteva essere visto come un manifesto del luddismo. La parola luddismo è sempre usata a sproposito. Si pensa che i luddisti avessero un odio cieco verso la tecnologia e un’ottusa ostilità verso il progresso, un rifiuto barbaro di ogni novità. Non è proprio così. I luddisti, «non se la prendevano con le macchine, ma soprattutto con i padroni che le utilizzavano per massimizzare i profitti a spese di una larga fetta della popolazione».
I tecnofanatici accusano di luddismo chiunque osi criticare la rivoluzione digitale. Utilizzano lo stesso disprezzo che un tempo veniva esibito nei confronti dei luddisti. Ci viene ripetuto in ogni occasione che “il progresso non si può fermare” […]. Ci viene ribadito che dobbiamo “andare avanti”, anche se non sappiamo quale sia la direzione. L’importante è muoversi, innovare, stare al passo. Siamo immersi nell’ideologia del movimento fine a sé stesso, cosa pericolosa e grottesca. Borgonovo tra i molteplici lati oscuri della rivoluzione digitale vede quelli come vengono utilizzati i nostri dati personali raccolti dai social network. Grande scandalo sui media per le vicende che hanno coinvolto Facebook, ma Google si comporta in modo molto simile, circa il 77% delle pagine Web che visitiamo attraverso il motore di ricerca viene tracciato. Pensiamo davvero che questo tipo di società sorvegliata sia “un progresso”?
Tra i rischi che comporta la digitalizzazione della nostra società, tra quelli più gravi, Borgonovo crede che stiamo perdendo la nostra umanità. «I tecnofanatici vogliono creare un uomo nuovo, esattamente come volevano fare le grandi dittature del Novecento. È un progetto folle e pericolosissimo».
Presentando il libro di Borgonovo, Luca Gallesi su Il Giornale, scrive che oggi «ai dogmi religiosi, sono subentrati altri dogmi, ben più intransigenti, che alla teologia hanno sostituito la tecnologia, nuova divinità».
Pertanto secondo Gallesi, «la lettura di Fermate le macchine! fa l’effetto di una doccia gelata. Intendiamoci: Borgonovo non è un luddista, non auspica la distruzione delle macchine né il ritorno a una civiltà pre-moderna, dove la legna sostituisca il petrolio e i cavalli le automobili, ma ci mette in guardia dal dilagare di un ottimismo ingiustificato e pericoloso nei confronti delle cosiddette «nuove tecnologie». (Luca Gallesi, «Fermate le macchine» vogliamo uscire dal progresso che umilia l’essere umano», 30.6.18, Il Giornale)
Allora è possibile difendersi dallo strapotere tecnologico? Certamente iniziando con piccoli accorgimenti come «dandosi un limite. Limitando il tempo che passiamo attaccati al cellulare. Spegnendolo quando non serve. Perché non ci gustiamo il bel piatto che abbiamo davanti invece di farlo freddare mentre cerchiamo di fotografarlo? È solo un esempio, una piccola cosa. Ma dimostra come si possa dominare la tecnologia. Poi, certo, ci sono questioni molto più ampie, a cui solo la politica può dare una risposta. Per esempio quelle legate al lavoro. Credo che un governo serio dovrebbe occuparsene immediatamente. E dovrebbe anche provvedere a cancellare i provvedimenti che hanno spalancato le porte delle classi ai dispositivi digitali».
Domenico Bonvegna