Se fosse fuoco arderebbe il mondo, se fosse vento di sicuro lo tempesterebbe. Il suo è il ritratto dell’inquietudine messa al servizio della creatività. La caparbia ostinazione spinta alle estreme conseguenze. La determinazione che tende a saltare steccati e a sposta i paletti di confine più avanti possibile. Il suo obiettivo? Arrivare alla meta di una carriera per il cinema, una vita interamente vocata al mondo in celluloide. Se lo può permettere. Noemi Cognigni – fotomodella, conduttrice televisiva e, naturalmente, attrice – è il frutto del combinato disposto del più morbido e plastico Dna mediterraneo su cui – non si sa come, non si sa grazie a cosa – ha infiorato le tinte diafane di un patrimonio genetico che, risalendo per i rami delle generazioni che furono – sembra risalire al basso Medioevo. A quando il Mezzogiorno divenne terra di conquista delle stirpi normanno-sveve. Ecco quindi che non le manca una marcata sinuosità di curve, laddove comanda Venere Aphrodite, resa ancora più suadente dal timbro della voce a lei dovuta, che riecheggia come zampillo di fontane dove, dice l’antica canzone, si davano convegno i ragazzi di un tempo nella speranza di scambiare un bacio furtivo. E poi gli occhi…
Campeggiano sul volto delicato, occhi di un colore indefinibile, mutanti dal verde acquamarina alle sfumature del ghiaccio e della cenere sottile, di una tonalità simile al colore che assume l’acqua miscelata a un sorsetto di anice.
Fotomodella, conduttrice e attrice, talento al plurale, incline al molteplice, spirito borderline, diremmo oggi.In bilico tra apollineo e dionisicaco, volendo disturbare il filosofo di “Nascita della tragedia greca”. E non a caso uno che di cinema se ne intende – il regista e sceneggiatore Maurizio Fiume – a suo proposito ha preconizzato ruoli da “Angelo Maledetto”, copioni in cui inscenare il carattere del “Fiore del Male”. Difatti nella sua vita è facile cogliere il “falso movimento”, una sorta di un moto ondoso che, come la risacca, all’elemento opaco fa seguire sempre un secondo tempo:l’aprico. Così che ondeggia il respiro del genere umano, così pencola il battito cardiaco: tra sistole e diastole, sopra e sotto, codesta e l’altra faccia della luna: Così il suo umore, in un andamento sinusoidale che le consente di essere una, nessuna e centomila donne.
Se fosse un dolce? E che dubbio c’è? Sarebbe una millefoglie. E se fosse un calendario? Di certo vi figurerebbe tre volte il Carnevale…E se fosse un film? Sarebbe sicuramente “La Casalese”. Una pellicola fresca di montaggio, in cui recita da protagonista. E’ la sua prima volta, la prova del nove a cui ambisce ogni attore. Una storia in cui – va senza dirlo – una giovane donna è costretta a impegnare ogni risorsa per sopravvivere in un habitat infernale. La vicenda di una madre che combatte per il suo diritto a proteggere il futuro di suo figlio. Il contesto ambientale è quello di Castelvolturno, terra in cui l’impatto della violenza supera l’incandescenza del calor bianco, sia pure in una cornice ove persistono i profumi di una macchia mediterranea che ancora incanta, ai bordi di una terra che gli Antichi denominarono “felice”, dove spiagge senza fine sono lambite da un mare che sa di mito e i tramonti ancora si avvampano di selvaggio furore. Il film porta la firma di Antonella D’Agostino, scrittrice e regista, e propone una storia vera, imbastita con la trama del processo “Spartacus”, durato dodici anni portando alla sbarra oltre 115 persone. Infine concluso dalla storica sentenza a carico di membri del clan dei Casalesi.
Noemi nel film è la ex moglie di un boss pentito, uno spirito ribelle che si oppone alla legge del patriarcato – al marito, al mondo da cui egli proviene e persino allo Stato – rifiuta la protezione prevista per i parenti dei pentiti di camorra, e fugge aspirando a un nuovo inizio per lei e per suo figlio.
Gli articoli che parlano di lei già abbondano in rete, da qualche tempo. Qualcuno azzarda: è una “Sharon Stone” di sangue partenopeo. Ma a rinchiuderla nella silhouette della “bella ragazza e brava pure” si fa un torto. Non a lei ma alla verità. E’ facile scorrere tra centinaia di scatti sfuggiti agli shooting e così qui diventa la Volpina di Amarcord di Fellini, là inquieta e fragile come una novella Nicole Kidman… Le si fa un torto, dicevamo, se non si aggiungono altri tasselli al suo mosaico:laureata in Relazioni internazionali con una tesi in Antropologia culturale, dominio della lingua inglese, una innata e irrefrenabile curiosità la spinge a percorsi sempre nuovi, in anima e corpo: dal kung fu alla meditazione trascendentale. “Ora sto cimentandomi nella scrittura di un romanzo a quattro mani – dice –, una esperienza nata per caso, seguendo la pista del ticchettio della tastiera di un pc, all’opera negli orari più inusuali…”. Troppo persistente, oltre le pareti di casa, per non suscitare in lei il desiderio di bussare alla porta del vicino, conoscerlo, stabilire con lui, scrittore di professione, la giusta empatia per dare il via a un progetto narrativo. Ed ecco che altre pagine si aggiungono alla sua vocazione principale come variazione sul tema di uno spartito.
Qual è il pericolo? Dare a chi la osserva, senza un sufficiente grado di sensibilità ed empatia, la sensazione d’avere a che fare con una personalità discontinua. A tratti persino dispersiva…
E invece no. La Casalese della fiction è in realtà napoletana del quartiere del Nilo.Dimostrazione vivente che nessuna biografia degna del nome procede mediante percorso rettilineo e ascendente. Ogni vita degna di essere vissuta non è rose e fiori, latte e miele, perché passa attraverso il sale della sconfitta. La sua vivaddio non è e non può essere una storia frutto di un processo ascendente di accumulazione, se mai fosse possibile pensare alla crescita umana e professionale come a un vaso che si riempie. Il caso umano vocato al rispetto di un codice prefissato, casa-scuola-un posto fisso, statino paga e cartellino da timbrare… non le appartiene. E pertanto il suo percorso non può essere formato da un principio accumulativo.E’ piuttosto onda sinusoidale, andamento ciclico, apice faticosamente raggiunto cui segue la caduta e – semmai, poco oltre- il ritorno a una nuova primavera, un nuovo inizio.
E del resto il mito di Persefone restaconfitto nelle mura che conosce da sempre, nelle strade che da sempre attraversa, eternamente con il cellulare in presa diretta. Le strade antiche del suo quartiere, i ventricoli di Napoli, dove il tufo custodisce il “segreto della melagrana”, e ogni giorno è una discesa agli inferi con rinascita.
Mille volte è passata sulla strada dove tra i pastori e i presepi di San Gregorio Armeno, un cardine tra due decumani della città greco-romana, fa capolino il bassorilievo che raffigura una Canefora di Demetra, che si vuole legato ai Misteri Eleusini. Tuto questo non a caso.
Degli occhi abbiamo dalla sorgente di un ruscello. Ma c’è da dire ancora che il lucore della pelle assume nel suo caso le specifiche visive dell’alabastro. Così il volto ferino che sembrava figlio di Dei inferi, assume a sorpresa angelico lume, solcato dal rosso-fuoco della bocca nel cui sipario fa capolino la perlata chiostra dei denti.
Le persone che indovini nella sua persona non sono mai sempre le stesse, come l’acqua del fiume. Una centomila, forse nessuna, Noemi procede dritta verso il proprio destino. Il suo traguardo sarà riuscire trasformare il caos indistinto e feroce da cui proviene in un cosmo lieve, armonioso ed equilibrato come una danza.