Economia e Finanza
Bce. «Nei prossimi anni assisteremo a una congestione nel funding,causata dalla scadenza delle esistenti operazioni Tltro e di rilevanti quantità di bond bancari, ma anche da vari adempimenti regolamentari». Difficilmente Mario Draghi poteva essere più esplicito nello spiegare ieri perché la Bce avesse deciso di dare un seguito alle operazioni di rifinanziamento a tassi agevolati e finalizzate alla concessione di credito all’economia reale in scadenza nei prossimi mesi. Spesso però una simile franchezza, oltre a sottolineare i pur noti punti deboli, finisce per condizionare lo stesso andamento dei mercati. Di sicuro quelli azionari che ieri, dopo un’iniziale fiammata all’annuncio della nuova Tltro, hanno finito per tornare sui propri passi e chiudere in ribasso, nonostante l’Eurotower abbia in fin dei conti messo in campo misure espansive superiori alle attese. La situazione dell’economia deve essere piuttosto grave se Mario Draghi, sorprendendo un’altra volta mercati, rinvia l’uscita di scena della Bce in soccorso della zona euro. I tassi di interesse resteranno al livello corrente, cioè a zero, «almeno per tutto il 2019», ha affermato il presidente al termine della riunione di politica monetaria della banca centrale europea. Finora la Bce invece aveva indicato un’inversione di tendenza, con il primo rialzo, già in estate. Inoltre, l’Eurotower lancia un nuovo stimolo per le banche, offrendo un altro round (il terzo) di prestiti agevolati (Tltro), per garantire liquidità agli istituti e, quindi, incentivare il credito a famiglie e imprese.
Il caso derivati. Nella gestione dei derivati del Tesoro non c’è stato il danno erariale da 3,9 miliardi contestato dalla Procura della Corte dei conti all’ex capo della direzione del debito pubblico Maria Cannata e agli ex dg del Tesoro Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli (poi ministri dell’Economia) e Vincenzo La Via. Nella sentenza 50/2019 depositata ieri la prima sezione centrale d’appello della Corte dei conti conferma l’impostazione della sezione Lazio (sentenza 348/2018, del 15 giugno scorso). E chiude definitivamente il processo contabile record che in questi anni ha dominato il dibattito sulle funzioni dei dirigenti pubblici e sui limiti alla possibilità di contestarne in giudizio le decisioni. In un’intervista Maria Cannata ha spiegato perchè il Tesoro ha usato i derivat e che ruolo ha avuto lei? “Come ben spiegato nel rapporto sul debito pubblico, la cui quarta e ultima edizione è relativa al 2017, e in numerose altre occasioni pubbliche, allungare la duration del debito, bloccando tassi fissi storicamente bassi, è stata considerata una strategia prudente e di lungo periodo. Per conseguire questo obiettivo, già dalla seconda metà degli anni’90 si è ricorso ai derivati di tasso d’interesse, quale complemento dell’attività di emissione. Io ho operato in questa direzione, in continuità coni miei predecessori”.
Politica Interna
Tav, scontro finale. Giuseppe Conte si schiera contro la Tav e si assume la responsabilità di perorare la causa della revisione integrale del progetto con la Francia e con Bruxelles. Che però una risposta l’hanno già data: la Commissione Ue con una lettera inviata a Telt perché proceda con i bandi, Parigi con il pressing della ministra dei Trasporti Elisabeth Borne che ha sollecitato l’Italia ad andare avanti ricordando che c’è una disponibilità dell’Ue a rivedere al rialzo la quota di finanziamenti, dal 40 al 50 per cento. Il nodo resta politico. E ieri Conte non ha potuto fare altro che ammettere «lo stallo» sulle gare, su cui il Cda di Telt è chiamato a decidere lunedì. Ma così cresce il pessimismo nella Lega. «I bandi per la Tav non devono essere sospesi. Nessun ministro della Lega metterà la sua firma allo stop dei cantieri. Troppi No possono mettere in crisi il governo». Matteo Salvini non intende fare passi indietro, non accetta che il Consiglio dei ministri si riunisca per dire ai rappresentanti italiani della Telt di fermare le macchine e rinviare. Anche perché non si tratterebbe di rinviare, di prendere tempo, far finta che ci sia ancora la possibilità di trovare una soluzione in cui l’Italia viene meno al trattato internazionale con la Francia. Le conseguenze sarebbero devastanti per la credibilità del nostro Paese. «Chi verrebbe più a investire da noi?», si chiede il leader leghista. E lo chiede ai suoi alleati, ai 5 Stelle che continuano a dire che se c’è la Tav non c’è più il governo.
Berlusconi. «Meglio votare domani mattina che tenere in piedi un governo che gli elettori non hanno mai votato e che sta distruggendo l’economia, sta bloccando l’Italia, la sta isolando in Europa e nel mondo». Silvio Berlusconi, nel giorno della paralisi governativa sulla Tav, intervistato da affaritaliani.it, lancia la sua sfida, aggiungendo di essere pronto a sostenere un governo con Matteo Salvini premier. Una soluzione coerente con la sua contrarietà agli esecutivi tecnici: «Sono la negazione della sovranità popolare e non fanno bene alla democrazia». «Nella passata campagna elettorale ci siamo impegnati a sostenere come premier la figura indicata dal partito che avesse ottenuto più voti. Quel partito è la Lega, e noi manteniamo sempre la parola» dice Berlusconi. E alla domanda su dove trovare i voti in Parlamento, il Cavaliere risponde: «Mi risulta che siano molti, anche fra i Cinquestelle, a essere disponibili, per convenienza, per calcolo o per senso di responsabilità, a sostenere un nuovo governo senza passare per nuove elezioni». Intanto giunge notizia che Silvio Berlusconi è indagato per concorso in corruzione in atti giudiziari nell’inchiesta sul «sistema tangentizio» al Consiglio di Stato. L’iscrizione del leader di Forza Italia è dovuta agli accertamenti del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e del sostituto Stefano Fava, che hanno individuato sospetti illeciti nella sentenza con cui il massimo organo della giustizia amministrativa annullò la decisione della Banca d’Italia di far cedere a Berlusconi quote di Banca Mediolanum.
Politica Estera
Brexit. A meno di una settimana da un delicatissimo voto a Westminster sull’accordo di recesso che dovrebbe permettere al Regno Unito di uscire in modo ordinato dall’Unione europea il 29 marzo, appare in alto mare il negoziato con il quale Londra e Bruxelles vogliono meglio precisare i contorni della controversa soluzione-paracadute per evitare il ritorno di una frontiera tra le due Irlande. Il fine settimana rischia di essere dedicato a nuove trattative, dall’esito ancora incerto. La premier Theresa May ha inviato a Bruxelles il procuratore generale Geoffrey Cox, ossia il massimo consigliere giuridico del governo britannico per discutere del backstop irlandese. La soluzione-ponte da applicare in assenza di un accordo di partenariato, che dovrebbe risolvere alla radice la questione del confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, non piace ai brexiter più accesi perché prevede la permanenza del Regno Unito nell’unione doganale, senza quindi automonia commerciale. Intanto la Germania, e le sue autorità doganali, sono pronte ad affrontare qualunque scenario della Brexit: inclusa la possibilità che la Gran Bretagna rotoli fuori dall’Unione Europea senza che un accordo di divorzio definisca il futuro legame. Lo ha dichiarato ieri il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz.
Cina – Usa. Le restrizioni imposte a «Huawei sono incostituzionali», l’azienda fa ricorso contro l’embargo Usa e richiede un’ingiunzione permanente che lo annulli. Si apre un nuovo capitolo nella guerra “parallela” tra Washington e Pechino: quella che su altri fronti vede ancora aperto il negoziato commerciale; e che si è arricchita di un capitolo italiano legato alle Nuove Vie della Seta. Il dossier Huawei è della massima importanza poiché riguarda la sfida globale sulle telecom, in particolare la leadership nella tecnologia 5G, la quinta generazione di telefonia mobile. «Il Congresso degli Stati Uniti ha omesso di fornire prove a supporto delle restrizioni sui prodotti Huawei e siamo costretti a intraprendere questa azione legale come estrema soluzione», ha detto Guo Ping, presidente di turno di Huawei. Se gli Stati Uniti vogliono che l’Italia non affidi la costruzione della nuova rete per le comunicazioni 5G ai cinesi di Huawei, dovrebbero fare due cose: primo, chiarire nel dettaglio quali sono i rischi che questa scelta creerebbe dal punto di vista della sicurezza nazionale e internazionale; secondo, suggerire un’alternativa sostenibile dal punto di vista delle leggi del mercato. Senza un chiarimento approfondito sul primo punto, infatti, il secondo diventa indifendibile, in quanto sarebbe difficile spiegare perché il nostro Paese dovrebbe rinunciare alla soluzione più economica, e forse anche tecnologicamente più avanzata. Sono ragionamenti avvenuti a margine del convegno «Cybersecurity, challenges and opportunities for Italy and the U.S.», organizzato ieri dall’ambasciata italiana a Washington.