Economia e Finanza
Spending review al palo. Volano pensioni e welfare. La spending review continua a rimanere di fatto da molti mesi in naftalina. Anche se nelle prossime settimane potrebbe rifare capolino tra le pieghe del Documento di economia e finanza (Def) al quale sta lavorando il Governo in vista del varo previsto entro il 10 aprile. Una possibile nuova chance, almeno sulla carta, per dare seguito all’intenzione dell’esecutivo di creare una task force “taglia-sprechi” o “mani di forbice” e forse anche per compensare in parte la spinta data alla spesa corrente dall’ultima manovra e dal decretone su reddito di cittadinanza e «quota 100». Con il peso dell’area «Previdenza, assistenza e altre politiche di sostegno» salito, al 23,6% sulle uscite complessive, mentre la media del triennio 2016-2018 non aveva superato il 22,8 per cento. A evidenziarlo è un recente dossier della Ragioneria generale dello Stato sugli effetti della legge di bilancio (e del “decretone”). «Per l’esercizio finanziario 2019, la procedura di revisione della spesa dei ministeri non ha avuto luogo»: è un altro dossier, questa volta del dipartimento bilancio del Servizio studi della Camera, ad affermare che nell’ultimo anno è stata totalmente dimenticata la rigida tabella di marcia per la programmazione e la definizione dei contenuti della spending review introdotta dalla riforma del bilancio dello Stato.
L’attacco di Lega e M5S sull’oro di Bankitalia. Neanche ventiquattro ore e l’assedio è di nuovo in atto. La maggioranza di governo non pare accogliere né le raccomandazioni del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che corredano il via libera alla commissione di inchiesta sul settore bancario e sui mercati finanziari, né, tanto meno, l’ennesima indicazione del governatore di Bankitalia Ignazio Visco. II Quirinale e il banchiere centrale due giorni fa si sono spesi per ribadire l’autonomia della attività creditizia e l’esigenza di rispettare le prerogative e l’autonomia dei soggetti che su di essa vigilano. A partire da Bankitalia. Ma c’è un ulteriore fronte tornato alla ribalta di nuovo ieri: nella coalizione gialloverde sono in molti ad accarezzare l’idea di mettere le mani sulle riserve auree di Bankitalia. Attraverso una mozione, i cui primi firmatari sono il leghista Alberto Bagnai, presidente della Commissione Finanze al Senato, e Laura Bottici del M5S, una pattuglia di parlamentari gialloverdi chiede al governo di «definire l’assetto della proprietà delle riserve auree detenute dalla Banca d’Italia nel rispetto della normativa europea». La mozione chiede anche di «acquisire le notizie» sulle riserve detenute all’estero e su come rimpatriarle. II provvedimento è atteso a Palazzo Madama per il voto in aula mercoledì prossimo. A depositare una richiesta analoga è Fratelli d’Italia, che da tempo rivendica la titolarità dell’oro esplicitamente in capo alo Stato. II Pd è dell’idea opposta: una mozione ribadisce l’autonomia di Bankitalia e la titolarità delle riserve d’oro. Da ricordaere che lo stock detenuto in Via Nazionale è pressoché lo stesso da quando, negli anni Sessanta, l’allora governatore Guido Carli decise, dopo lo spoglio subito durante la guerra, di ricostituirlo. L’obiettivo era, e resta, dare solidità a quella garanzia di ultima istanza della solvibilità del Paese, che in definitiva rappresenta la ragione granitica per imbottire di oro il caveau di una banca centrale. A segnalarlo è stato tre giorni fa un altro ex governatore di Bankitalia, Mario Draghi. Che nella sua veste di attuale guida della Banca centrale europea, rispondendo a un’interrogazione di due parlamentari europei, Marco Zanni (Lega) e Marco Valli, ha ricordato il trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Una normativa che assegna come compito dell’Eurosistema «detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri».
Politica interna
Lega-M5S, ora è alta tensione. «L’ultimo dei testimonial della famiglia tradizionale» è arrabbiato. Almeno a prima vista, per Matteo Salvini è una brutta giornata. Al punto che l’ira, che diversamente dal solito non è dissimulata neppure di fronte alle telecamere, quasi gli fa perdere di vista i due punti che voleva emergessero dalla giornata. Primo: «Il divorzio non si tocca, l’aborto non si tocca, i diritti che ci sono non si toccano. Noi siamo per ampliare i diritti». Punto numero due: guerra alle case famiglia che lucrano sui bambini loro affidati. Un po’ quello che già è accaduto con le cooperative che gestiscono gli immigrati, ma in chiave famigliare: «Visiteremo una a una le case famiglia, perché ci sono centinaia di bambini detenuti illegalmente da alcuni soggetti. E poi sarei io quello che sequestra le persone…». Fin qui, il copione previsto. Però, poi, il ministro dell’Interno si arrabbia al suo arrivo alla Gran Guardia di Verona, semi schiacciato da giornalisti e telecamere, si spazientisce quando i relatori prima di lui vanno lunghi con i loro discorsi. I suoi sostenitori nella piazza pensano che sia per le bordate di «Vergogna» con cui il leader leghista viene accolto dai molti che contestano il Congresso mondiale delle Famiglie. Di certo, i cori avversi non piacciono a nessuno, ma il vicepremier è assai più arrabbiato con gli alleati di governo: «Non un giorno, nemmeno un singolo giorno hanno rinunciato a cavalcare il Congresso della Famiglie — dice Salvini cupo ai suoi —. Non gli è parso vero…». E pensare che ancora non è uscita la nota di Palazzo Chigi in cui lo si invita a «studiare le cose prima di parlare altrimenti si fa solo confusione». E qui il leader leghista non se la tiene: «Io non è che passi le mie giornate ad attaccare i Cinque Stelle. E invece ogni giorno io mi ritrovo a sentirmi dare del retrogrado, del medievale, dello sfigato. Ma guarda un po’…». Palazzo Chigi ha diramato una nota per smentire quanto affermato da Salvini che aveva richiamato il sottosegretario Vincenzo Spatafora (M5S) «ad occuparsi della velocizzazione dell’iter delle adozioni» e lo stesso premier Giuseppe Conte «a fare di più». Errore!, ha replicato la presidenza del Consiglio: «La delega in materia di adozioni di minori italiani e stranieri è attualmente ed è sempre stata in capo al ministro della Famiglia della Lega Fontana. Il presidente del Consiglio ha solo mantenuto le funzioni di presidente della commissione per le adozioni internazionali. Spetta quindi a Fontana adoperarsi, come chiesto da Salvini, per rendere le adozioni più veloci e dare risposta alle 30 mila famiglie che aspettano». Luigi Fontana sottolinea sul Sole 24 Ore che “il governo si è trasformato in un campo di battaglia. Il contratto è finito nel cassetto e viene tirato fuori solo per dire cosa non si può fare. I due contraenti sono quotidianamente impegnati nel rito di attaccare le proposte dell’alleato. Le proprie idee diventano verità assolute da contrapporre a quelle dell’alleato-rivale e da consegnare per un giorno al pubblico. Salvo il giorno dopo abbandonarle per passare a un altro capitolo della saga gialloverde”.
Testata: Corriere della Sera
Il ritorno in campo di Berlusconi. Sala piena al Palazzo dei Congressi dell’Eur: è il giorno dell’Assemblea nazionale di FI, evento per celebrare i 25 anni dalla vittoria del 1994, e per lanciare la candidatura del Cavaliere a capolista alle Europee. Antonio Tajani sprona la platea: «C’è grande spazio politico tra la Lega e il Pd che si sta sempre più concentrando a sinistra». Mariastella Gelmini l’accarezza: «A chi, come qualche alleato che forse raggiungerà il 4%, dice che non c’è spazio per FI rispondiamo che il centrodestra l’ha inventato Berlusconi». Anna Maria Bernini dà coraggio: «Qui si scaccia via tutto lo sconfittismo». Manca Giovanni Toti, sempre più tentato dal progetto di costruzione della seconda gamba del centrodestra assieme alla Meloni. In tanti gli dicono che sta sbagliando. Come Mara Carfagna: chi diserta «ha sempre torto» anche se «c’è tanto da cambiare dopo le Europee, io sarò la prima ad impegnarmi a farlo». E soprattutto come Berlusconi, che sbotta, senza citarlo: «Continuano a darci del vecchio, sono cose infondate. Anche qualcuno che si è assunto la responsabilità di governo regionale insiste in questa direzione: abbiamo avuto pazienza fino ad adesso, credo sia il momento di far finire questa pazienza». Immediata la replica di Toti: «La pazienza l’hanno persa gli elettori. Se qualcuno vorrà mettersi in discussione per una politica e un’Italia nuova io ci sono» ma non per «guardarci negli occhi e dirci che va tutto bene così». È sfida a 360 gradi per conquistare un risultato almeno a due cifre che non renda FI ininfluente. «Dobbiamo affrontare a viso aperto Salvini. E sfidarlo sulla modernità», dice il deputato Andrea Ruggieri, il più gettonato per i selfie dei militanti. Il 10 per cento è la soglia minima di sopravvivenza. Simone Baldelli scuote la testa: «Speriamo qualcosa di più». Il 12 ecco, sarebbe un trionfo. Intervistato da Repubblica il governatore ligure Toti attacca: «Serve guardare in faccia alla realtà, rendersi conto che Forza Italia perde fette sempre più grandi di classi dirigenti. Se ne vanno e si mettono alla testa di liste civiche per vincere le elezioni e stare lontani da noi».
Politica estera
Il Papa in Marocco. «Le migrazioni rappresentano «un fenomeno che non troverà mai una soluzione nella costruzione di barriere, nella diffusione della paura dell’altro o nella negazione di assistenza a quanti aspirano a un legittimo miglioramento per sé stessi e per le loro famiglie». Papa Francesco parla a Rabat nel primo discorso del viaggio di due giorni in Marocco, una tappa importante nel suo itinerario nel mondo musulmano. Davanti al re Mohammed VI il Papa ha detto: «Sappiamo anche che il consolidamento di una vera pace passa attraverso la ricerca della giustizia sociale, indispensabile per correggere gli squilibri economici e i disordini politici che sono sempre stati fattori principali di tensione e di minaccia per l’intera umanità». Sul tema dell’accoglienza va letto anche il messaggio al presidente della Repubblica diffuso come da prassi al momento del decollo da Fiumicino: «Mi è caro rivolgere a Lei signor Presidente e alla Nazione italiana il mio cordiale saluto che accompagno con fervidi auspici affinché l’Italia possa tenere sempre alta la tensione verso i valori etici e spirituali della persona e della convivenza sociale, ricercando, con sforzo concorde, soluzioni ispirate alla solidarietà». Poi un passaggio dedicato al tema del fondamentalismo: «Sono lieto di poter visitare l’Istituto Mohammed VI per imam, predicatori e predicatrici, voluto da Vostra Maestà, allo scopo di fornire una formazione adeguata e sana contro tutte le forme di estremismo, che portano spesso alla violenza e al terrorismo e che, in ogni caso, costituiscono un’offesa alla religione e a Dio stesso». mai lanciato prima in questi termini – davanti a una sessantina di immigrati, ospitati dalla Caritas di Rabat. Francesco firma con il re Mohammed VI un appello per «preservare la Città santa di Gerusalemme come patrimonio comune dell’umanità». La Santa Sede e gli sherpa marocchini hanno tenuto secretato l’appello fino all’ultimo, limando le parole una per una, per arrivare a lanciare un messaggio confezionato nelle scorse settimane e reso pubblico volutamente in uno dei Paesi in cui l’Islam riesce ad avere più che altrove un volto moderato e conciliante. Gli effetti che produrrà l’appello non li conosce nessuno. Ma è evidente che, per quanto riguarda la parte vaticana, la diplomazia della pace che trova nel magistero dei pontefici un suo leitmotiv passa anzitutto da un avvicinamento al mondo islamico che punta a sminuire le differenze e a valorizzare chi si distingue per politiche aperte ed inclusive.
Brexit. Crisi politica sempre più grave in Gran Bretagna. Oltre metà dei deputati conservatori chiede a gran voce un “no deal”, mentre la premier Theresa May sta decidendo se ripresentare in Parlamento per la quarta volta l’accordo concordato con la Ue oppure indire elezioni anticipate. La terza sconfitta dell’accordo di recesso, venerdí, ha creato un’impasse da cui è difficile immaginare una via d’uscita indolore in pochi giorni. Londra ha tempo solo fino al 12 aprile per trovare una soluzione, mentre la Ue ritiene che un’uscita senza accordo sia ormai lo «scenario probabile». Il presidente del partito conservatore, Brandon Lewis, ha confermato ieri che 170 deputati conservatori hanno scritto una lettera alla May invitandola a non chiedere a Bruxelles un ulteriore rinvio ma di lasciare comunque la Ue il 12 aprile, anche con “no deal”. Lewis ha insistito che approvare l’accordo è l’unico modo di evitare un “no deal”e non essere costretti a partecipare alle elezioni europee di fine maggio. Per questo la May, nonostante tre brucianti sconfitte, potrebbe tentare di farlo approvare al quarto tentativo la settimana prossima. La May potrebbe inserire il suo accordo nelle votazioni previste in Parlamento domani sulle diverse opzioni possibili. Si prevede che ci possa essere una maggioranza per la proposta di restare nell’unione doganale o per un secondo referendum.