Economia e Finanza
Approvato il Def. Crescita allo zero virgola per i prossimi tre anni, una previsione di ben tre anni perché il debito scenda al di sotto del 130 per cento del Pil, deficit al di sotto del 2 per cento solo nel 2021. Questi i numeri principali del Documento di Economia e Finanza varato ieri pomeriggio dal governo, al termine di un rapido Consiglio dei ministri preceduto però da una discussione ampia e, dicono fonti vicine all’esecutivo, assai animata, e seguito da una ulteriore riunione sul decreto di attuazione del Fondo di indennizzo dei risparmiatori, slittato a data da definirsi. Slittano molti decreti cardine del governo (il decreto Crescita e lo Sbloccantieri). Previsto il taglio delle tasse per le famiglie ma saltano le aliquote. Resta invariata la tensione tra i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, e il ministro dell’Economia Giovanni Tria che ammonisce: senza risorse, aumenterà l’Iva. Crescita ferma allo 0,2%, il deficit sale al 2,4%, queste altre cifre nel Def. E’ stato poi rinviato il decreto per i rimorsi ai truffati delle banche. Un rapporto deficit/pil in aumento al 2,4% nel 2019 e in flessione al 2,1% l’anno successivo. Debito pubblico al 132,6% del pil quest’anno, in rialzo dal 132,2% del 2018, nonostante l’impegno a ridurlo preso con l’Europa, e in lieve arretramento al 131,3% nel 2020. Sono i numeri chiave del Documento economico e finanziario (Def) varato ieri dal governo giallo-verde in cui si parla di «un contesto economico congiunturale profondamente cambiato e più complesso, caratterizzato da un marcato rallentamento della crescita europea». Sorprende forse un po’ di più il fatto che al varo del Def, documento chiave perla programmazione delle politiche economiche dei prossimi tre anni, non sia seguita una conferenza stampa, per illustrare le misure e le previsioni.
Debito pubblico e crescita. Tagliate le stime sul nostro Paese (Pil +0,1%nel 2019), debito e deficit in aumento. Il Pil tendenziale si ferma quest’anno a +0,1%, e punta a un +0,2% contando sulla spinta di sblocca-cantieri e decreto crescita; un deficit in rialzo al 2,4% che spinge il debito tendenziale al 132,8%. In una dinamica che punta su 18 miliardi di privatizzazioni, senza cui bisognerà aggiungere al passivo un 1% di Pil. Questi sono i numeri segnati nel Documento di economia e finanza, approvato dal Consiglio dei ministri. Nel governo si litiga. I vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio si sono scontrati con il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Anche perché nel documento finale la flat tax, cara al mondo leghista, è finita in una parentesi. Sono sparite inoltre le due aliquote (con fasce di prelievo del 15 e del 20%) contenute nella prima bozza. Il Def certifica un quadro drasticamente cambiato rispetto a 3 mesi fa. Queste cifre così prudenti sono state difese dal ministro dell’Economia Tria che teme la validazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio e nel confronto Ue. Argomenti validi che hanno prevalso sulle ambizioni di Lega e M5S che spingevano per obiettivi di crescita più alti. Di questo, delle clausole Iva e di flat tax si è discusso nelle quattro ore di vertice fra il premier Conte, Tria e i due vicepremier Salvini e Di Maio prima del Cdm. Il confronto si è concentrato sulla flat tax: il testo, che è entrato con due aliquote a 15 e 20%, è uscito senza riferimenti numerici ma con la volontà che della riduzione fiscali benefici il ceto medio. Al termine solo una nota stringata in cui Palazzo Chigi rivendica la «conferma dei programmi di governo: nessuna nuova tassa e né manovra correttiva». Dall’Fmi allarme sull’economia mondiale. Molti i rischi al ribasso: tensioni commerciali, Brexit, voto Ue e Italia.
Politica interna
Scontro nel governo. Salvini e Di Maio le hanno tentate tutte con attacchi anche pesanti ancora una volta contro il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che però alla fine ha visto licenziato il suo Documento di Economia e Finanza depurato anche della questione delle aliquote irpef che la Lega avrebbe voluto in versione flat tax. Se la riunione del consiglio dei ministri è durata meno di mezz’ora è perché il “tutto contro tutti” è andato in scena prima e si è concluso in serata con Tria di fatto “imbavagliato” e, per la prima volta, con nessuno del governo disposto a scendere in sala stampa per spiegare i contenuti del Def. L’approvazione c’è stata, anche se non si sa ancora nulla dei decreti crescita e sblocca cantieri approvati giorni fa, “salvo intese”, ma ancora lontani dall’essere pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Il governo, rispetto a settembre quando indicava una crescita del Pil dell’1,5 per cento nel 2019, prima l’ha ridotto all’ 1 per cento, a fine dicembre; e ora allo 0,2, mentre l’Ocse dà un meno 0,2. Con queste percentuali, l’idea di avere soldi per ridurre la pressione fiscale appare come minimo azzardata. Non a caso, la cosiddetta flat tax voluta dalla Lega e della quale il vicepremier grillino Luigi Di Maio si candida a «garante» dei poveri, ha contorni nebulosi. Cinque Stelle e Lega scansano le accuse di promettere fumo e di peggiorare i conti pubblici, sostenendo che è colpa del rallentamento a livello globale. La situazione dell’Italia sarebbe legata a quello, non alle scelte dell’esecutivo populista. Nel Def il taglio delle tasse per le famiglie: saltano le aliquote. Salvini-Di Maio, lite con Tria Altolà del Tesoro: senza risorse, aumenterà l’imposta sui consumi. Crescita ferma allo 0,2%. Il Consiglio dei ministri ha approvato il Def. Previsto il taglio delle tasse per le famiglie: saltano le aliquote. Ma c’è tensione tra i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, e il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Il Tesoro ammonisce: senza risorse, aumenterà l’Iva.
Scenari politici. Molti ormai sollecitano Salvini a rompere il sodalizio con 5 Stelle allo scopo – irraggiungibile – di rinnovare in anticipo il Parlamento. C’è un motivo valido in teoria: dicono che la Lega, soggiacendo alle pretese programmatiche dei grillini, sia destinata a perdere consensi soprattutto da parte di chi ha a cuore l’economia. E vero, i conti dell’Italia piangono e non promettono nulla di buono nel futuro prossimo. Ma c’è un particolare da non sottovalutare: mettiamo che il capo del Carroccio, stanco di soccombere a Di Maio, compia il gesto estremo, mandando al diavolo il governo in carica. Poi cosa accadrebbe? Due opzioni. La prima, auspicata in particolare dagli imprenditori e da molta gente, è che Mattarella decida di sciogliere le Camere e indica nuove elezioni onde verificare gli umori del Paese, secondo i sondaggi assai diversi rispetto a 13 mesi orsono. La seconda, meno ottimistica da un certo punto di vista, è che il Movimento – attualmente detentore a Montecitorio e a Palazzo Madama del 33 per cento – pur di non uscire di scena si aggrappi al Pd che, col proprio 20 per cento – sarebbe in grado di compensare numericamente la dipartita di Alberto da Giussano.Inutile attendersi un’idea del futuro dalle forze che hanno cominciato la campagna in vista dell’europee. Ma in teoria l’Europa dovrebbe essere il tema dominante come mai in passato. In parte lo è davvero, purché non si pretenda qualcosa di più delle affermazioni generiche. Ognuno fa un gioco corto, pensa in modo quasi esclusivo alle convenienze domestiche e bada a cogliere le opportunità del momento, giorno dopo giorno. Questo vale per il partito di Zingaretti, che pure si richiama al grande ombrello del socialismo europeo, probabile secondo raggruppamento nel prossimo Parlamento. Non così esente da contraddizioni anche il Pd, se è vero che Calenda (capolista nel Nord-Est) preferirebbe ritrovarsi in un gruppo macroniano, magari nuovo di zecca; allo stesso modo la pensano gli amici di Renzi, che peraltro non sono molto amici di Calenda e tantomeno del neo segretario. In fondo il segmento più coerente, sotto il profilo europeista, resta quello di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova: PiùEuropa. Tutto questo può dipendere dal sistema proporzionale che esalta le identità, per cui il messaggio politico arriva chiaro quando a lanciarlo è una piccola formazione. Peraltro diventa cruciale riuscire a superare la soglia del 4 per cento quando tutti cominceranno a sgomitare nei giorni caldi della campagna. Per Salvini e Di Maio l’obiettivo è logico: più che all’Europa sono interessati agli equilibri in Italia, ma proprio a tal fine è utile non apparire isolati e marginali su scala continentale.
Politica estera
Elezioni in Israele. Doveva essere un referendum su Benjamin Netanyahu e così è stato: anche se nella notte i risultati del voto israeliano più importante degli ultimi anni sono ancora incerti. La media dei tre exit poll delle principali televisioni ieri notte dava il primo ministro uscente, 69 anni, e sfidante Benny Gantz, 59 anni, ex capo di Stato maggiore, alla pari con 35 seggi ciascuno. Nei tre exit poll pubblicati dalle tv alla chiusura dei seggi in Israele Benny Gana avrebbe 36-37-37 seggi contro i 36-33-36 di Netanyahu. Ma la coalizione di destra guidata da Netanyahu avrebbe 64-60-64 seggi contro i 56-60-56 della coalizione di Gantz. Un Esecutivo di unità è dunque impensabile? In queste elezioni così incerte non è escluso che possa finire anche così. Ieri sera i primi exit poll davano un testa a testa tra i due candidati Netanyahu e Gantz. In Israele, dove il panorama politico è molto frammentato, vincere non basta, occorre trovare consensi verso i partiti minori e racimolare i seggi per arrivare alla maggioranza, ovvero 61 sui 120 della Knesset. I primi voti scrutinati, pari a circa il 20% delle schede, davano invece il Likud di Netanyahu in testa con il 29,15% dei voti contro il 25,27% della formazione Blu e Bianco di Gantz. Entrambi i partiti avrebbero dunque conquistato un numero di seggi molto maggiore del previsto: il segno che gli elettori hanno scelto di dare la loro preferenza a uno dei due partiti maggiori, evitando la dispersione dei voti. Sia Gantz che Netanyahu ieri sera si sono attribuiti la vittoria. «Abbiamo vinto noi: formare il governo spetta a chi ha preso più voti», ha affermato il primo intorno all’una di notte. Il premier uscente ha aspettato fimo alle due per apparire in pubblico, poi con l’aria felice, ha detto: «È una grande vittoria. Continueremo a guidare Israele per i prossimi 4 anni». Un Esecutivo di unità è dunque impensabile? In queste elezioni così incerte non è escluso che possa finire anche così. Operazione non facile. Qualunque sia il risultato esatto delle singole liste (occorre ricordare che in Israele i sondaggi sono sempre poco precisi), è Netanyahu ad avere più possibilità di formare un governo: avrebbe una maggioranza di 65 seggi mentre Gantz si fermerebbe a 55. Per governare servono 61 deputati, la metà più uno in un parlamento (Knesset) di 120 membri. I conteggi ufficiali arriveranno oggi e anche in quel caso potrebbero non essere sufficienti: se la differenza sarà ridotta, a decidere potrebbero essere i voti dei militari che non saranno scrutinati prima di qualche giorno. Oltre a queste schede, importante sarà il risultato dei partiti minori, ago della bilancia: le due liste arabe avrebbero un risultato pessimo, con una sola che supererebbe la soglia di sbarramento del 3,25%, complice anche un’affluenza alle urne bassissima fra la minoranza.
Trump minaccia nuovi dazi. «L’Unione europea ha danneggiato gli Stati Uniti nel commercio estero per molti anni. Basta!». Con un tweet di Donald Trump attacca l’Ue. Con un tempismo che può apparire sospetto, l’Amministrazione Usa decide di chiudere una vertenza durata 14 anni davanti al tribunale del commercio mondiale, il Wto. In attesa del verdetto finale il governo americano elenca le sue sanzioni contro l’Europa per i sussidi a Airbus. La lista dei dazi però è molto lunga e per un valore pari a 11 miliardi di dollari d’importazioni. Trump è pronto a un’ondata di dazi per 11 miliardi di dollari mntro la Ue in risposta agli aiuti ad Airbus, la rivale dell’americana Boeing. Nel mirino elicotteri, motociclette, formaggi, vino e olio. Così,dopo la Brexit, nuovi rischi per prosecco, pecorino e olio made in Italy. Il presidente americano usa lo stesso copione della Cina con l’Europa. Mette subito in chiaro le regole del gioco e prepara il campo ai negoziati con l’Ue, che nonostante la campagna infuocata, a ragione, presumibilmente, partiranno dopo le elezioni europee di maggio con il nuovo Parlamento e con la nuova Commissione. Il Parlamento Ue, tra l’altro, non ha ancora approvato il mandato negoziale per la Commissione, diviso tra due posizioni: quella tedesca che vorrebbe aprire le trattative commerciali Ue-Usa più in fretta possibile per scongiurare i dazi su auto tedesche (e componentistica italiana); e la posizione francese che invece ritiene Trump poco affidabile e vuole prendere più tempo.