Occorre ritornare alla via indicata dagli antichi e percorsa poi dai cavalieri medievali: la via delle virtù. Certamente sarà una strada aspra e solitaria, ma ci porterà alla meta: la realizzazione personale.
La conoscenza del percorso difficile ma entusiasmante della via delle virtù, la offre un bellissimo libretto di appena 111 pagine, «Le Virtù. Il cammino del cavaliere», di Roberto Marchesini, Sugarcoedizioni (2019).
Marchesini è un psicoterapeuta, di una formazione filosofica che raramente si trova tra gli psicologi, «richiama la nostra attenzione – scrive nella postfazione Martin Echavarria – sul tema dell’educazione del carattere da parte delle virtù; tema del quale , nel nostro tempo, si sente la mancanza tanto nel mondo laico quanto in quello ecclesiale».
Allora, è ancora possibile, oggi, vivere in modo virtuoso, percorrere il cammino del cavaliere? E’ l’interrogativo che ha spinto Roberto Marchesini ad affrontare un tema che sembra antiquato, ma che forse non è mai stato così attuale.
A cominciare dalla dedica, il libro vuole essere provocatorio, infatti lapidariamente c’è scritto: “in memoria di Aristotele e san Tommaso d’Aquino maestri inarrivabili ai quali dovrebbero essere grati ogni donna e ogni uomo che vogliono vivere virtuosamente”.
Che cosa sono e a cosa servono le virtù. Comincia così Marchesini. E subito dopo viene posta la domanda fondamentale che ciascun uomo dovrebbe porsi: Perche viviamo? Quale obiettivo ci poniamo nella nostra vita?
Dalla risposta dipende molto il futuro nostro e della nostra società, che vive, che propone una divisione rigida: il piacere (l’edonismo) o il dovere (il doverismo). Attenzione obietta Marchesini, nessuna delle due porta alla felicità. La prima, il più delle volte, porta alla disperazione. La seconda, a una continua insoddisfazione.
L’alternativa a questa dicotomia esiste, era già chiara negli antichi che hanno fondato la nostra civiltà.
Marchesini non può non fare riferimento ai Greci, che vivevano in un mondo metafisico: la realtà non è solo quella materiale che vediamo, ma esiste, ed è più importante, quella che non si vede, non si tocca. «Tutto ciò che esiste non è frutto del caso ma deriva da un Logos, un ordine universale; e ha un fine, uno scopo». Ogni cosa esiste per un motivo e questo è lo scopo per cui quella cosa esiste. Il motivo e lo scopo di ciascun uomo è quello «di diventare ciò che è destinato ad essere».
Pertanto i greci «non vivevano per accumulare ricchezze o per aumentare la propria reputazione: vivevano per l’aretè. Per realizzare pienamente ciò che erano». Poi i latini, hanno tradotto la parola aretè, con «virtù», da vir, che significa uomo compiuto, realizzato. Pertanto, per Marchesini, «un essere umano, di sesso maschile (homo) ha il compito di diventare virile, cioè virtuoso».
Anche se sia per i greci che per i latini la vita virtuosa non aveva un significato religioso. Fu poi il cristianesimo a far coincidere la vita virtuosa con la pienezza della vita religiosa. Infatti per la Chiesa il massimo di vita felice è la santità, «l’esercizio eroico delle virtù». L’uomo si compie diventando come Cristo, alter Christus. Imitando Cristo, diventando come lui, l’uomo realizza se stesso.
Tuttavia per Marchesini, «il prototipo dell’uomo virtuoso è quindi l’eroe e l’eroe ha assunto nell’Occidente cristiano, una sembianza ben precisa, quella del cavaliere».
Marchesini però precisa che non si riferisce al cavaliere avventuriero, prepotente, al bullo, per intenderci, «colui al quale piace menare le mani». Qui si fa riferimento al cavaliere che dedica l’intera vita al perseguimento delle virtù.
Dopo aver argomentato sulle origini delle virtù, lo studioso passa a definire le virtù, incominciando da quelle Cardinali, chiamate così perché sono il «cardine», cioè il fondamento di tutte le altre virtù. Il libro comincia ad esaminare la Prudenza, la prima delle virtù cardinali. E qui subito Marchesini sentenzia che non è vero che il fine giustifica i mezzi. Anzi «la differenza tra le persone virtuose e chi non lo è sta proprio nei mezzi utilizzati per perseguire i propri obiettivi».
Fare carriera o guadagnare di più a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo non va bene per niente. Occorre scegliere i mezzi opportuni per conseguire il fine. La prudenza è un a virtù che viene richiesta in particolare a chi comanda. Riguarda i governanti, i comandanti militari. Per essere prudenti serve la memoria, l’intelligenza, la docilità, la solerzia, la ragione, la previdenza, la circospezione, la cautela.
Naturalmente Marchesini per spiegare queste virtù, spesso cita il Catechismo della Chiesa Cattolica, che tutti i cattolici dovrebbero conoscere e studiare.
I vizi che si contrappongono alla prudenza sono l’imprudenza, la negligenza. Poi c’è l’astuzia, un vizio molto frequente al giorno d’oggi, per Marchesini. Anche se oggi da molti l’astuzia, è considerata quasi una virtù.
Inoltre Marchesini nel contesto della falsa prudenza, evidenzia la sollecitudine viziosa. Quando ci affanniamo con eccessiva sollecitudine, per le cose temporali, superflue. Altro stato d’animo negativo è la preoccupazione per il futuro.
Dopo la prudenza passa in esame la Giustizia, per capire l’importanza di questa virtù, basta esaminare le varie nostre ingiustizie quotidiane. «I vizi che ci allontanano dalla giustizia sono il nutrimento quotidiano di qualsiasi uomo contemporaneo», scrive Marchesini. Tutti noi siamo pronti a condannare il furto, l’omicidio, sopratutto se a nostro danno, difficilmente sentiamo qualcuno lamentarsi della grande diffusione (anche grazie ai social) della maldicenza, la mormorazione, la derisione.
Sulla Fortezza, sono interessanti le riflessioni, per quanto riguarda il momento storico attuale. Oggi, almeno per ora, non rischiamo di essere perseguitati fisicamente. Però è «in pericolo la libertà di pensiero e di espressione: il potere politico tenta continuamente di imporre leggi liberticide che ricordano i periodi più bui della nostra storia». Abbiamo visto presentando il libro del professore Capozzi, «Politicamente corretto», quanti rischi esistono per chi si oppone all’ideologia diversitaria del politicamente corretto.
Dicendo la verità e rifiutando la menzogna, ha certamente un costo. Siamo chiamati a farlo in moltissime situazioni della vita quotidiana: a scuola, sul lavoro, con gli amici, in famiglia. Il grande Aleksandr Solzenicyn, dissidente russo ne sa qualcosa. Ha dedicato tutta la sua vita al rifiuto della menzogna e alla professione pubblica della verità. Per questo è finito nel Gulag sovietico. Ha dedicato uno dei suoi scritti più belli, «Vivere senza menzogna».
L’ultima virtù cardinale della Temperanza, riguarda le nostre passioni che come un fiume in piena rischiano di esondare. Abbiamo due modi per fermare il fiume, fare una diga, oppure fare degli argini. Nel primo caso, il fiume si blocca, ma col tempo può distruggere la diga. E’ molto meglio, pertanto fare degli argini. Ecco la diga, scrive Marchesini, è la continenza, che blocca le passioni, almeno per un periodo, dopo un po’ possono esplodere con forza più di prima. «Gli argini sono invece la temperanza, che incanala le passioni perchè possano essere utili alla persona invece che dannose».
Pertanto la temperanza consiste nel moderare le passioni, non nel bloccarle. Fanno parte della temperanza, l’astinenza, la sobrietà, la castità, la pudicizia, la lussuria, la continenza, la mansuetudine, la modestia. Oggi tutti i messaggi che la società ci invia sono un invito continuo ad esprimere le nostre passioni, a lasciarci guidare da essi. La virtù che insegna a temperare le passioni con la ragione, è una merce rara. «Le passioni sono la guida della vita contemporanea; e a tutti sembra giusto così».
Seguono le virtù Teologali: la fede, la speranza e la carità.
Anche qui lo psicoterapeuta e psicologo Marchesini esprime delle riflessioni interessanti e utili per chi vuole fare il cammino delle virtù. Vale la pena riflettere sulla questione delle relazioni. Oggi c’è troppa gente ingannata, ferita, disillusa e per questo, le relazioni sono diventate sempre più superficiali e fredde. E’ importante sottolineare una sua domanda: «possiamo fare in modo che le persone tornino a fidarsi le une delle altre. In che modo? Non con proclami e crociate, ma diventando noi stessi, nelle relazioni quotidiane, degni di fiducia. Diventando sinceri e mantenendo la parola data aiuteremo le persone a fidarsi di noi e rianimeremo la fiducia nel prossimo».
Con i sette Vizi capitali contrapposti alle virtù cardinali e teologali, si conclude il libro. I vizi sono chiamati capitali perchè sono capi, origine, causa di altri vizi. Li elenco soltanto: Superbia, Avarizia, Lussuria, Ira, Gola, Invidia, Accidia. Sono i sette peccati dipinti splendidamente dal pittore olandese Hieronymus Bosch. Indulgendo in uno di essi ci si ritrova in preda ad altri vizi.
Comunque sia, anche nelle conclusioni, Marchesini è lapidario: «le virtù non sono più la nostra priorità». Pertanto per il professore, «Il progressivo, esponenziale abbandono della metafisica ci ha indotto a pensare che non abbiamo più un progetto da realizzare, che l’essere umano non abbia alcuna natura, nessun progetto».
Domenico Bonvegna