Alitalia Luigi Di Maio scende in campo nella partita Alitalia e – a tre giorni dalla scadenza per l’offerta finale – squaderna la ricetta gialloverde «per il rilancio e non per il salvataggio» dell’ex compagnia di bandiera: «Una massiccia presenza dello Stato» tramite il Tesoro e le Fs, la presenza di Delta Airlines come fiore all’occhiello in vista della creazione di «un’eccellenza a livello internazionale». Più, dulcis in fundo, la presenza dei privati: «Stanno arrivando offerte tra cui quelle dei concessionari autostradali» (leggi Atlantia e Toto, ndr) – ha detto il vicepremier – per arrivare al 100%». Offerte «non ancora formalizzate», fattore che potrebbe portare alla richiesta di un’ulteriore proroga – a dopo le elezioni europee – del termine per la loro presentazione. Ma, riferisce il Sole 24 Ore, i commissari Alitalia non solo ritengono esaurito il proprio mandato, ma sono convinti che ulteriori proroghe possano solo danneggiare la compagnia. Si aspettano l’offerta vincolante d’acquisto sulla compagnia aerea entro martedì, presentando così ufficialmente la cordata pubblico-privata a cui spetterà il compito di garantire un futuro.
Tax expenditures, il piano del governo Sussidi ambientali dannosi, a cominciare da quelli compresi nel settore trasporti sotto forma di agevolazioni Iva, da razionalizzare senza penalizzazioni per le attività produttive. Sconti fiscali sul lavoro (in forma diretta e indiretta), da ricalibrare anche facendo leva sull’introduzione del coefficiente familiare, oltre che dei nuovi strumenti di sostegno, e calcolando gli effetti dell’eventuale adozione della flat tax per le famiglie. Deduzioni e detrazioni che hanno una ricaduta negativa sul montante a fini pensionistici da rimodulare. Tre aree abbastanza definite, che “pesano” nel primo caso oltre 10 miliardi, nel secondo circa 40 e nel terzo quasi 50 miliardi, sulle quali è già stata indirizzata la lente del Governo per realizzare la “potatura” selettiva delle tax expenditures. Che è stata annunciata dal Def varato nelle scorse settimane e che dovrà prendere forma con la prossima legge di bilancio. Un piano che, al netto della “ricollocazione contabile” (e non solo) del bonus Irpef degli 80 euro da spostare dal capitolo delle maggiori spese a quello della fiscalità, dovrebbe prevedere anche lo stop alle duplicazioni di sconti fiscali e la completa abolizione delle agevolazioni considerate ormai datate o inutili
Politica interna
Province, nuova lite nel governo Il dossier delle 107 ex Province – che amministrano ancora 130 mila chilometri di strade e 5.100 scuole superiori – spacca il tavolo tecnico della Conferenza Stato-Regioni presieduto dai sottosegretari Stefano Candiani (Lega) e Laura Castelli (M55). La campagna elettorale ha guastato il clima di collaborazione tra i due esponenti di governo registrato nelle segrete stanze di via della Stamperia, dove l’organismo si è riunito 7 volte nel 2019, portando così un dibattito molto tecnico al centro del ring sul quale duellano su tutto i due vicepremier. Matteo Salvini: «L’abolizione delle Province fu una buffonata che ha portato disastri; noi vogliamo dare servizi ai cittadini, per cui se Comuni e Regioni non ce la fanno servono le Province». Luigi Di Maio: «Le Province si tagliano, sono un poltronificio. Punto. Non è riesumando un carrozzone che si assicurano i servizi». In un intervista alla Stampa, il leader della Lega accusa il Movimento 5 Stelle «di cambiare troppo idea».Nel confermare infatti la volontà della Lega di «resuscitare» le Province, afferma: «Il percorso sulle Province è stato deciso insieme. Il problema è che cambiano idea troppo spesso. Non solo in questo caso. Ma anche sulla flat tax, sull’immigrazione o sulle autonomie. Non si può dire contemporaneamente sì, no e forse. Se poi Di Maio ha un modo per sistemare scuole e strade senza enti intermedi sono pronto ad ascoltarlo. Però mi secca lavorare settimane per scoprire che hanno una nuova opinione». E sul caso Siri: «Se qualcuno ha sbagliato pagherà […] Detto questo, voglio andare al punto. Non mi basta certo un pezzo di intercettazione estrapolato da un verbale per dire che Siri ha delle responsabilità in questa storia. Me lo deve dire un giudice. Non i giornali». Ribadisce tuttavia che il governo non è in discussione: «Io sono un testone e vado avant»i. Ma avverte: «Certo, per andare avanti bisogna essere d’accordo in due».
Caso Siri, le indagini della magistratura La Repubblica fa il punto delle indagini sul caso Siri.”Il 28 settembre dell’anno scorso – si legge – Paolo Arata, il consulente per l’Energia di Matteo Salvini, fa un resoconto degli affari al figlio Francesco Paolo e a Manlio Nicastri, il figlio del suo socio occulto, Vito, il ‘re’ dell’eolico accusato di essere vicino al superlatitante Matteo Messina Denaro. È in quell’occasione che Paolo Arata parla della mazzetta da 30 mila euro al membro del governo: l’intercettazione è da due giorni depositata dalla procura di Roma al tribunale del riesame. Dopo quella intercettazione del settembre 2018, il fascicolo viene trasmesso dalla procura di Palermo a quella di Roma. Insieme ad altre conversazioni in cui Arata parlava del suo stretto rapporto con Siri. Fascicolo numero 40767/18, con i nomi di Arata e Siri iscritti nel registro degli indagati per il reato di corruzione”.
Politica estera
Conte a Pechino, confronto sulla Libia Ha parlato con Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, delle prospettive di ripresa dell’economia italiana. Con Xi Jinping, dal quale è stato trattato quasi come un ospite d’onore, dei prossimi contratti che Roma e Pechino possono concludere, nella cornice della Belt and Road,. Ma il cuore dei colloqui cinesi del capo del governo Giuseppe Conte ha riguardato la Libia. In due faccia a faccia significativi, di fatto due richieste di aiuto, Conte le ha avanzate prima al presidente russo Vladimir Putin, poi al presidente egiziano Al Sisi. Entrambi a Pechino per la «Belt and Road Initiative», i due leader hanno un ascendente non secondario su Haftar e a loro si è rivolto Conte per aumentare al massimo la pressione internazionale per tornare a uno scenario negoziale e politico. «La via militare – ha detto il premier – come ho detto sia a Putin che Al Sisi, non offre sin qui una soluzione e anche in prospettiva immediata non offre nessuna chance di poter stabilizzare la Libia». II presidente egiziano Al Sisi, aggiunge, «condivide con me le preoccupazione e non vuole interferire in attività belliche e mai lo farà, non vuole alcun coinvolgimento diretto dell’Egitto», Mentre il lungo colloquio con Putin si è rivelato utile ad aprire un canale stabile di dialogo con Mosca, a registrare la promessa di un aggiornamento costante e reciproco delle informazioni, con i due leader che torneranno a sentirsi nei prossimi giorni.Conte ha anche parlato del caso Regeni: «C’è insoddisfazione – ha ammesso dopo il vertice con Al Sisi – perché a distanza di tempo non c’è ancora nessun concreto passo avanti. Francamente non abbiamo strumenti reali e concreti per poter intervenire e sostituirci alla magistratura egiziana».
La Spagna oggi al voto Il voto di oggi in Spagna secondo gli istituti di ricerca vedrà primi i socialisti, poi, in ordine, Popolari, Ciudadanos, Podemos e Vox. Abbastanza per permettere al leader socialista Pedro Sánchez di costruire un’alleanza di centrosinistra e garantire così una continuità di governo che è negli auspici di Economist e Financial Times. Per i circoli imprenditoriali è meglio qualche tassa in più, un po’ di spesa sociale in più che un salto indietro nel tempo. Perché se Sánchez non avrà abbastanza seggi per una maggioranza tutto sommato moderata, nel governo spagnolo irromperebbe l’estrema destra di Vox. Basta leggere il primo punto del programma targato Vox per capire il perché di tanta paura: «Difendere la Nazione Spagnola fino alle sue ultime conseguenze». Tradotto: mano di ferro con gli indipendentisti catalani, arresti e quindi rivolte di piazza e quindi leggi liberticide e Stato di polizia. Uno scenario da Anni Venti del secolo scorso. L’incubo illiberale che arriva al governo della quarta economia dell’area euro, la paura di ripercorrere le strade verso il nazi-fascismo. L’antidoto si chiama Pedro Sánchez.