Il tira e molla tra Lega e M5S sull’autonomia continua a colpi di battute a distanza. Da un lato, ecco un Matteo Salvini, impegnato in campagna elettorale in Brianza, sempre più impaziente. «Non vorrei che qualcuno usasse il Parlamento per perdere mesi o anni su una riforma che è urgente. E quindi conto che a brevissimo il Consiglio dei ministri approvi la riforma che per la Lega è già ben chiara, c’è nel contratto di governo. I grillini sia in Lombardia sia in Veneto hanno votato e sostenuto il referendum, spero non abbiano cambiato idea». Dall’altro, Luigi Di Maio dalla Polonia dove partecipa alla convention del partito polacco Kuldz 15 avanza un dubbio che sa tanto di colpo di freno: «Saremo garanti della coesione nazionale. E vero che Veneto e Lombardia hanno votato al referendum e hanno diritto all’autonomia ma se deve creare cittadini di serie A e di serie B, o una sanità di serie A e serie B, non sono d’accordo». Ma per quanto Salvini nelle piazze di Paderno Dugnano e Cantù, dove arriva alla guida di una 500 con a bordo la fidanzata Francesca Verdini, si sforzi di ripetere come un mantra «non rispondiamo alle bugie, alle provocazioni e alle polemiche», dal capo politico dei Cinque Stelle piovono punture di spillo a raffica. Su Armando Siri («Deve andare in panchina, sulla corruzione non c’è garantismo»), sulle province («Vanno eliminate»), sulle fonti di finanziamento alla Lega («Servono chiarimenti immediati»). Con l’aggiunta di un «pentalogo», dal salario minimo al conflitto di interesse, su cui chiede al Carroccio: «Sono cinque leggi di cambiamento, voi ci state?»
«A brevissimo». Traduzione: prime delle Europee. D’altronde, Matteo Salvini l’impegno lo ha preso in maniera solenne lo scorso 7 aprile, al debutto del Vinitaly. Quando indossando la felpa della fiera internazionale ha parlato di «prima pietra entro il voto per la Ue». Dunque, il 26 maggio. Quel giorno ad ascoltarlo, oltre alla presidente del Senato Elisabetta Casellati, c’era in prima fila Luca Zaia, il «Doge del Carroccio», uno dei pochi a essere unanimamente stimato (e dunque temuto) dalla vecchia e dalla nuova guardia. E sempre quel giorno, come da prassi, Zaia al momento dell’inaugurazione dello stand del Veneto ha passato con una certa soddisfazione la bandiera con il Leone di San Marco a Salvini per le foto di rito, prima di liberarlo per il consueto bagno di selfie con la gente. «Fattore V». Come Veneto, dunque. Molto di più di quello della Lombardia, altra regione a guida leghista (con Attilio Fontana) che attende il via libera all’Autonomia differenziata. In una fase in cui tra i leghisti d’alto lignaggio non mancano gli argomenti quotidiani per sussurrare a Salvini di mollare «questi scappati di casa» (così vengono apostrofati ormai i grillini dai loro alleati in Transatlantico), il «pantano romano» del dossier caro al Nord potrebbe essere la riprova di un’esperienza che proprio non va. Ecco perché Salvini sta studiando una mossa da giocarsi entro, e non oltre, le prossime tre settimane in consiglio dei ministri. Sapendo, come ripete il ministro Erika Stefani, che ci sono «nodi politici non risolti». L’unica via percorribile potrebbe essere quella di approvare nei prossimi consigli dei ministri “un testo quadro” che prenda in considerazione tutte le istanze di Autonomia presentate dalle regioni. Inserendoci magari anche la Campania, la Liguria e il Piemonte, senza entrare nel merito della vera partita. E cioè le bozze che riguardano le cessioni di competenze a Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Su questo, che è il vero na do gordiano, si registra ancora lo stop dei ministri M5S.