La febbre sugli immobili segna 39,5. Intesi come i miliardi di imposte che lo Stato e i Comuni hanno reperito l’anno scorso da fabbricati e terreni, in aumento del 2% sul 2017. E quest’anno il termometro pare destinato a marcare un altro rialzo, dopo il via libera ai rincari dei tributi locali deciso con l’ultima legge di Bilancio. Tutto senza nemmeno dover prendere in considerazione la «moderna patrimoniale sulla prima casa», suggerita a inizio aprile dal Fondo mononetario internazionale (Fmi), o la riforma del catasto, riproposta tra le raccomandazioni di politica fiscale del Pnr 2018 e citata il mese scorso dal direttore delle Entrate, Antonino Maggiore, in audizione alla bicamerale sull’anagrafe tributaria. Un dato è certo: pur senza raggiungere il record del 2015 – quando era tassata anche la prima casa – la pressione fiscale sul mattone resta su livelli storicamente elevati. Le uniche (parziali) contropartite sono contenute nella manovra e, in prospettiva, nel decreto Crescita varato la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri. La prima ha introdotto la cedolare secca sull’affitto dei negozi, ma solo per i nuovi contratti siglati quest’anno, e ha raddoppiato dal 20 al 40% la deducibilità dell’Imu sui fabbricati strumentali. Il secondo contiene un ulteriore aumento di questa percentuale, una nuova modalità di cessione “a sconto” dei bonus edilizi ai fornitori e un’estensione alle zone sismiche 2 e 3 del sismabonus sui fabbricati ristrutturati dalle imprese.