Economia e Finanza
Manovra. Mentre Palazzo Chigi litiga, l’Economia brucia. In trepidante attesa. Perché le giornate sono scandite dalle polemiche tra i vice premier, ossessivamente impegnati a conquistare consensi. Così nel governo si finisce per perdere di vista l’impegno più importante: stabilire cioè quale linea economica adottare per redigere la prossima (difficile) Finanziaria. Che è invece l’ossessione di Tria, la sua naturale preoccupazione. Ancora la scorsa settimana, l’inquilino di via XX Settembre si è intrattenuto con un collega dell’esecutivo a margine del Consiglio dei ministri, e si è messo a discutere con lui di ciò che in realtà vorrebbe discutere anche insieme agli altri, se solo ci fossero le condizioni per farlo. Perché è vero che la manovra andrà tecnicamente scritta in autunno ma sarebbe politicamente necessario prepararsi, trovare un’intesa sulla strada da seguire, dato che — come Tria ha avuto modo di dire — «non sarà possibile abbassare le tasse, far crescere la spesa e allo stesso tempo bloccare l’aumento dell’Iva». Intanto il decreto sbloccacantieri non sblocca le opere pubbliche. Almeno per ora. Troppi i limiti del provvedimento che rischia di generare il caos normativo nel passaggio dal vecchio al nuovo regime, mentre nessuna norma è prevista sul punto più critico delle procedure, le autorizzazioni che precedono la gara. Lì si annidano i grandi ritardi, con un tempo medio di otto anni. Il Dl prevede inoltre che ci vorranno sei mesi almeno e tredici provvedimenti da riscrivere completamente per varare il nuovo regolamento sugli appalti. Nessuna accelerazione neanche per la nomina dei commissari straordinari che arriveranno solo dopo la conversione in legge e dopo che nel governo si sarà trovato l’accordo sulla lista delle opere da accelerare.
La Commissione europea sui conti italiani. Un buco da circa 5,5 miliardi nel 2018, un deterioramento dei conti nel 2019 e soprattutto il debito pubblico ancora in salita. È questa l’impietosa pagella sull’operato del governo gialloverde che la Commissione europea pubblicherà martedl prossimo a Bruxelles. I numeri saranno limati fino all’ultimo, ma di certo le previsioni economiche Ue di primavera toglieranno ogni alibi al gabinetto Conte. Che ora rischia. Nella migliore delle ipotesi a giugno l’Europa chiederà all’Italia una maxi stangata per il 2020, ultimo tentativo per tenere in carreggiata i conti di un Paese ormai considerato un rischio per la moneta unica. Nella peggiore, invece, l’Italia sarà messa immediatamente sotto procedura sul debito: una limitazione alla sovranità economica che peserà sulla nazione per anni, a prescindere da chi la governerà in futuro. D’altra parte i numeri sono desolanti. Il Bollettino semestrale della Banca d’Italia sulla stabilità finanziaria dice che i rischi per la stabilità finanziaria derivanti dall’evoluzione dell’economia globale sono in aumento. «L’indebolimento dell’attività manifatturiera nelle economie avanzate e le tensioni commerciali tra Usa e Cina incidono negativamente sugli scambi internazionali e accrescono l’incertezza sulle prospettive di crescita, soprattutto nelle economie maggiormente dipendenti dalla domanda estera, come la Germania e l’Italia». Tornando anche a sottolineare il peso del debito pubblico e i rischi dovuti allo spread sui titoli pubblici, che resta elevato, mentre Eurostat segnala un’impennata dell’inflazione media europea, salita dall’1,4% di marzo all’1,7% di aprile. La crescita italiana è stata già rivista al ribasso, ma «l’alto debito pubblico espone l’economia alle tensioni dei mercati finanziari e riduce la capacità della politica di bilancio di sostenere l’economia in una fase di rallentamento» dice la Banca centrale.
Politica Interna
Il caso Siri. La giornata è segnata da una irritazione crescente nei confronti della Lega e del suo leader. Luigi Di Maio vive ore concitate e parlando con i suoi si sfoga: «Quanto casino per una poltrona». Il capo politico dei Cinque Stelle è stanco, infastidito dall’atteggiamento degli alleati di governo, ma alla fine è anche convinto che la resa dei conti nel prossimo Consiglio dei ministri non ci sarà. «II caso è chiuso. Noi siamo maggioranza in Consiglio dei ministri. Vedrete, andrà come vi dico, alla fine non vedremo nessuno scontro». L’ipotesi che circola tra i pentastellati è che la Lega diserterà in buona parte l’appuntamento, lasciando al Movimento la responsabilità dell’atto politico della decadenza di Siri. Ma le ultime ore e gli attacchi anche a Giuseppe Conte hanno creato una nuova ferita nell’esecutivo, più profonda, difficile da cauterizzare. Ai piani alti di Palazzo Chigi l’aria resta pesante. Brucia ancora l’iniziativa di giovedi del sottosegretario Armando Siri, quella disponibilità considerata posticcia a dimettersi in una non ben precisata data, entro 15 giorni dal momento di un incontro coi magistrati non ancora fissato. Il premier Giuseppe Conte lo ha vissuto come una mancanza di rispetto, «a questo punto pure se sarà considerato innocente non ci sarà più posto per lui», promettono inviperiti dalle parti del capo del governo, indispettito e offeso perché, insiste chi gli ha parlato, quando chiede le dimissioni del sottosegretario indagato non lo fa nelle vesti di professore ma di presidente del consiglio, cioè una istituzione che va rispettata. Così fuori di sé da essere arrivato a minacciare «un gesto eclatante»: persino le dimissioni, se dalla Lega e dal suo leader arrivassero frasi o gesti considerati offensivi o provocatori, come sarebbe disertare il Consiglio dei ministri clou dell’inizio della settimana prossima.
Salvini contro i magistrati. Il decreto sicurezza in base al quale gli immigrati clandestini devono lasciare il Paese e non possono iscriversi all’anagrafe per alcuni magistrati è carta straccia. Tanto che nel giro di pochi giorni i tribunali di Firenze prima e Bologna ieri hanno accolto il ricorso presentato da alcuni ospiti dei centri di accoglienza che in base alla nuova legge si erano visti rifiutare dai comuni la domanda di registrazione come cittadini a tutti gli effetti. Salvini incassa il secondo ceffone in poche ore (il primo è stato il licenziamento del suo sottosegretario Armando Siri) e va su tutte le furie: «Se i magistrati vogliono fare politica – ha detto – prima si candidino alle elezioni». In effetti il decreto sicurezza, che piaccia o no, è una legge dello Stato approvata da un Parlamento sovrano e controfirmata dal Presidente della Repubblica che ne ha così garantito la costituzionalità.
«Una sentenza ver-gogno-sa — ha scandito Matteo Salvini durante il comizio di ieri pomeriggio a Modena – Ovviamente faremo ricorso, perché io i documenti li do a chi merita, gli altri tornano a casa dal primo all’ultimo».
Politica Estera
Elezioni amministrative in Gran Bretagna. Gli inglesi votano ma non riescono a risolversi sulla Brexit, e l’unica cosa che si riesce a dire con certezza, anche dopo le elezioni municipali di giovedì, è che il Regno Unito è ancora spaccato sulla questione europea e si fida sempre meno sia dei Tory al governo – questo era prevedibile – sia del Labour – questo era meno previsto, e un po’ più grave. Gli elettori hanno punito sia il partito conservatore al potere che i laburisti all’opposizione per la situazione di stallo che ha finora impedito l’uscita dall’Unione Europea, prevista per il 29 marzo e ora rinviata al 31 ottobre. I Tories hanno perso 1200 seggi in quello che è stato definito un “bagno di sangue”, mentre il Labour ha perso cento seggi, un pessimo risultato per un partito all’opposizione dopo un decennio di Governo Tory. I vincitori sono stati i due partiti dichiaratamente filo-europei: i liberaldemocratici, che hanno conquistato oltre 600 seggi, il loro risultato migliore in assoluto, e i Verdi con 170.
Colloqui Usa – Russia. Oltre un’ora di conversazione per confrontarsi sulla crisi in Venezuela, ma anche sul nodo nordcoreano, sul dossier Kiev, sulla stabilità strategica toccando finanche il Russiagate, la «bufala russa». È questo, in sintesi, il contenuto della telefonata di ieri tra Donald Trump e Vladimir Putin che «hanno espresso soddisfazione per il carattere costruttivo e concreto del colloquio». Il presidente russo ha detto a chiare lettere che «un’ingerenza negli affari interni» del Venezuela e «tentativi di cambiare il potere con la forza a Caracas minano le prospettive di una ricomposizione politica della crisi». Nonostante ciò «tutte le opzioni sono sul tavolo», compreso l’intervento militare, replica la portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders, sottolineando come, nella telefonata con Putin, Trump «ha detto chiaramente che gli Usa stanno col popolo venezuelano». Il caso Venezuela è sempre più un tema di geopolitica, mentre si guarda con attenzione all’incontro della prossima settimana tra il segretario di Stato Usa Mike Pompeo e il collega russo Sergej Lavrov. Tra i due sono volate parole grosse negli ultimi giorni: per gli americani la resistenza al potere di Maduro è ormai una questione da liquidare in ogni modo (facendo paventare in continuazione anche l’opzione militare), mentre secondo i russi soltanto accennare ad un intervento è una ingerenza inaccettabile e una provocazione.