Antonio Troise
Giancarlo Giorgetti azzarda un’insurrezione del Nord. Matteo Salvini annuncia perfino una “passeggiata” su Roma nel caso di un governo senza Centrodestra. Semplici mosse tattiche sulla scacchiera delle trattative per il nuovo governo? Si e no. Qualche mese fa, prima che le elezioni del 4 marzo spaccassero nettamente in due l’Italia consegnando il Nord alla Centrodestra e il Sud ai Cinquestelle, Lombardia e Veneto avevano giocato la carta del referendum. Qualche giorno fa, poi, il filosofo Massimo Cacciari avrebbe di nuovo messo in guardia – come racconta lo stesso Giorgetti – contro un nuovo vento secessionista. Ci sono tutti i segnali, insomma, di un ritorno in grande stile della Questione Settentrionale. “Il rischio c’è – spiega il sociologo Paolo Feltrin, esperto della Lega e attento osservatore delle dinamiche del Nord Est – Quando il Nord va all’opposizione ritrova inevitabilmente la sua unità politica. Non a caso, dal ’92 in poi non c’è mai stato un leader meridionale che ha avuto il consenso sufficiente per guidare la nazione. Non è un problema di “razzismo” ma di “geopolitica””.
Da questo punto di vista, i dati sono più che eloquenti. Al Nord, i due terzi della popolazione producono i tre quarti della ricchezza. La conseguenza è che sui cittadini del Settentrione pesa un carico fiscale praticamente doppio rispetto a quello del Mezzogiorno. Non a caso al Nord gli elettori hanno ascoltato la sirene della riduzione delle tasse e al Sud quella del reddito di cittadinanza. Ma l’economista Gianfranco Viesti, uno dei massimi esperti della questione Meridionale, non crede affatto in un automatismo fra rischio-recessione e governo Cinquestelle-Pd: “Mi pare davvero prematuro avanzare queste ipotesi. Siamo, invece, al solito e fastidioso atteggiamento ricattatorio della Lega che mescola le questioni politiche con quelle territoriali. Insomma, il re è nudo e con queste affermazioni dimostra di non essere una forza politica veramente nazionale”.
Anche per Feltrin “il Nord è più furbo della Catalogna, il rischio secessione è lontano”. Il problema, casomai, è un altro, come si è già visto nel ’94 e nel ’96. “Se il Nord non si vedrà rappresentato nel governo, radicalizzerà ulteriormente la frattura elettorale, con una nuova impennata di consensi per centrodestra e Lega”.