Lo storico marchio Rossopomodoro si è fatto promotore del Primo Congresso Mondiale dei Pizzaiuoli Napoletani che si è tenuto ieri all’Agorà Morelli in continuità spaziale con il locale di via Partenope e il lungomare su cui si sta svolgendo il Napoli Pizza Village, la kermesse dedicata alla pizza napoletana che vede il marchio napoletano impegnato nell’area Ospitalità con la novità assoluta della pizza fritta e con la Scuola di Pizza Casarossopomodoro.
A intervistare e moderare i due workshop organizzati da Clelia Martino, Development Manager Sebeto, il giornalista Vincenzo Pagano, Direttore di Scatti di Gusto.
Un tamburellante botta e risposta con i relatori ha costruito il percorso della pizza napoletana che è ben legata ai canoni della tradizione ma è consapevole di guardare al futuro per soddisfare le aspettative dei turisti che in numero sempre maggiore accorrono a Napoli per le bellezze artistiche e paesaggistiche e per le bontà gastronomiche.
A rispondere in due ore di domande, Antimo Caputo, AD e mugnaio dell’omonimo e storico mulino che opera dal 1924 con le farine dedicate anche ai pizzaioli. La farina della tradizione è la 00, perfettamente bilanciata da grani italiani e stranieri con l’unico obiettivo di offrire la migliore qualità possibile da una macinazione naturale e lenta. “Dobbiamo essere chiari e trasparenti nella proposizione di un prodotto che può beneficiare di tutte le nostre conoscenze. Noi con il Campo Caputo controlliamo grazie a un accordo con il Consorzio Agrario di Latina l’intera filiera dal seme fino all’arrivo del grano al mulino e da qui arriviamo alla farina che utilizzano i nostri clienti. Quest’anno abbiamo sperimentato un’ulteriore evoluzione con Grano Nostrum che utilizza grano coltivato in Campania”.
Hyperlocal e tecnologia non sono parole che vanno in contrasto. E in tema di parole, Sergio Miccù, presidente di APN, l’Associazione Pizzaiuoli Napoletani che organizza il Napoli Pizza Village, e Enrico Famà, fondatore di Accademia Pizzaioli hanno precisato il valore di quella “u” in pizzaioli che identifica l’artigiano con la missione di portare avanti la tradizione e il messaggio della pizza napoletana.
Antonio Sorrentino, Executive Chef di Rossopomodoro che ha gettato il seme dell’idea di un congresso, ha ribadito la necessità di sperimentare impasti e farciture con un approccio uguale a quello che ispira i percorsi di realizzazione dei piatti in cucina.
Due gli ospiti a sorpresa: Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione Univerde e ispiratore della raccolta firme per promuovere il riconoscimento dell’arte dei pizzaiuoli napoletani come patrimonio immateriale dell’umanità Unesco, che ha assicurato sulle possibilità di vittoria. I tempi sono quelli conosciuti: l’Unesco deciderà a novembre 2017 e fino a quel momento l’idea è andare oltre il milione e 100 mila firme raccolte in 30 Paesi puntando a una sottoscrizione di 100 Paesi per spingere pizzaiuoli e pizza napoletana verso il massimo riconoscimento.
E ancora ha accettato l’invito in zona Cesarini, Beniamino Bilali, guru dell’autolisi, dell’idrolisi, della biga e delle fermentazioni spontanee che è in procinto di aprire una pizzeria in Romania. A lui Vincenzo Pagano ha chiesto la differenza tra le diverse tecniche di innesco della lievitazione. Auditorio molto attento in uno dei passaggi cruciali per la pizza napoletana contemporanea che conta interessanti giovani della nouvelle vague. Peserà sicuramente l’affermazione che la pizza napoletana è incompatibile con la biga almeno quanto la sottolineatura – nota agli addetti ai lavoro – che il lievito naturale contiene lievito di birra.
E sulle farine alternative? Gino Sorbillo, di fatto il messaggero più accreditato della pizza napoletana sia in Patria che all’estero ritiene che anche a Napoli ci sia spazio per le farine diverse da 0 e 00. L’importante è badare sempre alla qualità degli ingredienti comprendendo anche quelli che vanno in farcitura. Dal canto suo ha annunciato che la nuova pizzeria Olio a Crudo a Milano in Tortona utilizzerà la tipo 1 in inediti abbinamenti con l’olio che i clienti potranno scegliere a tavolo e mettere da soli.
E si potrà scommettere sulle farine alternative alla 00 anche per Antimo Caputo sempre che sia chiara la distinzione tra pizza napoletana classica, STG, e pizza napoletana contemporanea. A lui è toccato il compito più difficile di esemplificare uno dei temi scottanti del mondo pizza. L’esatta distinzione e definizione delle farine 00, 0, 1, 2 e Integrale. L’immagine che ha proposto, quella di un arcobaleno che si colora al crescere degli elementi di crusca, ha convinto tutti ed esemplificato in maniera chiara i limiti di utilizzo della parola pizza che si colora di significato in maniera diversa a secondo se parliamo di napoletana classica o contemporanea.
Le conclusioni dei lavori sono state affidate a Luciano Pignataro, giornalista del Mattino e dell’omonimo blog. Pignataro, esperto e conoscitore del settore pizza, è anche assertore della necessità di discostarsi il meno possibile dalla linea della tradizione, ma “Non è possibile più dire che nel 2016 la pizza si fa così perché così la facevano genitori e nonni”, ha ammonito. “Il criterio scientifico e di studio è sempre più necessario al pari della comunicazione”,ha sottolineato alla platea gremita di pizzaioli di Rossopomodoro provenienti dai quattro angoli del mondo e da ospiti che hanno seguito il confronto. “Non ha senso dire che parliamo sempre dei soliti noti perché la scoperta di nuovi talenti può essere facilitata dagli stessi pizzaioli che devono saper comunicare il loro lavoro”. Ed è arrivato anche il consiglio di Vincenzo Pagano che ha chiosato sulla necessità di avere i fondamenti della comunicazione che significa ricordarsi banalmente di inserire in mail e messaggi l’indirizzo della propria pizzeria.
A Franco Manna, presidente di Sebeto e fondatore di Rossopomodoro, è toccato il compito di dare il senso della napoletanità alla densa mattinata di lavori. L’imprenditore, che sostiene la necessità di valorizzare il ruolo dell’artigianalità dei pizzai(u)oli anche come efficace barriera all’italian sounding, l’ha riassunta efficacemente in tre parole. Orgoglio del pizzaiolo di fare un lavoro che può regalare tante soddisfazioni impensabili per genitori e antenati e di trasmettere un vento napoletano con le proprie pizze. Avere il senso della grande tradizione. Infine diventare paranoici dei particolari, cioè saper coltivare il senso più minuto e minuzioso per fare una grande pizza come testimonia l’attenzione al basilico che diventa segno distintivo della pizza napoletana e della capacità di guardare appunto ai dettagli.
La storia della pizza napoletana appare ben ancorata al tempo presente e il suo futuro è da scrivere guardando con attenzione al passato e immaginando la capacità di evoluzione che è propria del popolo napoletano. La stessa, è ancora Pignataro a parlare, che ha trasformato la galleria Borbonica da rifugio contro i bombardamenti a improvvisato parcheggio semi clandestino e poi a parcheggio più green e innovativo di tutta Europa.
Proprio come la pizza che con Napoli si candida a diventare nei prossimi 5 anni la meta più importante per il turismo gastronomico in Italia. L’altra è Milano.